Droga e vendette dietro gli spari

Depositate le motivazioni del Riesame: ecco come nasce la guerra dello spaccio in città

«Se se li portano là dentro si uccidono»: a parlare sono i familiari degli spacciatori arrestati nei giorni scorsi dopo le sparatorie di strada del settembre scorso, temendo regolamenti di conti in cella. I protagonisti di quegli scontri armati sono ben individuati in una dettagliata informativa dei carabinieri del Ros, agli atti della maxi inchiesta antimafia “Un’altra storia”.

Tutto comincia alle nove di sera del 4 settembre scorso, quando il pluripregiudicato Marco Iannone viene raggiunto da un colpo di pistola alla coscia sinistra. L’indagine identifica lo sparatore in Antonio De Napoli, e i presenti in ospedale subito dopo il ferimento di Iannone, raccontano di un diverbio. Subito dopo De Napoli, affidato ai servizi sociali, è irreperibile. Il 5 settembre, il giorno dopo, poco dopo le 18 vengono esplosi nove colpi d’arma da fuoco contro il portone di legno di via Urbulana, casa di Iannone e del cugino, Mario Sarno. Alle 19,15 dello stesso giorno, tocca all’abitazione della famiglia De Napoli, bersagliata da altri colpi. Per i Ros, l’ultimo atto contro De Napoli è opera proprio di Sarno e Iannone.

La situazione in quelle ore diventa pericolosa, perché le fazioni sono in guerra e tutti sono pronti a tutto. Lo sa la madre di De Napoli, intercettata, la quale presagisce cose brutte: «Devi dire che tengono tutti quanti le pistole in mano quegli sciartapielli, non ce ne sta uno che è senza pistola». «Eh, hanno fatto come i bambini», risponde l’interlocutrice, «si stanno facendo la guerra proprio». «Apparatevi, mannaggia la morte, non fate andare le famiglie di mezzo», «Hanno sparato due guaglioni sopra un mezzo, madonna, i proiettili là per terra, ci stanno ancora i carabinieri fuori al portone che stanno cerchiando dove stanno i proiettili».

Dopo l’episodio subìto, Marco De Napoli, fratello di Antonio, non ne vuole sapere, e pensa a una vendetta. «Lo uccido, we mà, lo uccido, me li piglio dieci anni, non me ne fotte proprio mamma! Lo levo di mezzo, mò ti faccio vedere come lo cancello, non me ne fotte proprio». Il padre Ernesto, dal canto suo, pensa al da farsi: «Mò non li trovi, lo so, dobbiamo vedere di faticarceli, se no questi qua, la cosa non è buona».

Dalle intercettazioni ambientali, come scrivono i Ros, emerge una questione pregressa dietro gli scontri: «Il motivo non lo so, forse perché tenevamo in gestione il parco giochi, non lo so». Le ricostruzioni della guerra, nella sua prima fase settembrina, sono la genesi dell’attuale procedimento “Un’altra storia”, episodi singoli agli atti, con gli investigatori sulle tracce dei responsabili, impegnati in una disfida che proseguirà fino a ottobre e chiusa, per il momento, con le misure cautelari già riviste dal Riesame. Oltre metà degli arrestati sono ai domiciliari, quattro del tutto liberi e il resto, compreso i presunti capi Michele Cuomo, da una parte, e i fratelli D’Elia, dall’altra, in cella, con la ravvisata insussistenza dell’associazione di stampo mafioso.

Alfonso T. Guerritore

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