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Droga e pizzo, ecco il codice degli spacciatori della Piana del Sele

Spuntano i particolari che hanno portato a 87 arresti a Battipaglia e nella piana del Sele. Linguaggio in codice per testare la droga: "Era dolce il caffé?". I primi acquisti dai fornitori napoletani finanziati con la truffa delle slot machine. A Lucia Noschese, che aveva riorganizzato il clan, spettavano 2.500 euro al mese

SALERNO. Nel sodalizio che controllava il mercato della droga c’erano regole ferree, ruoli cristallizzati e una definizione meticolosa di scadenze e contabilità. A Lucia Noschese (figlia di Bruno e nipote del boss Biagio Giffoni) spettava un fisso mensile di 2.500 euro, consegnato a lei o al convivente Raffaele Ficuciello con cui nel settembre del 2009 aveva riorganizzato la nuova veste del clan Giffoni convocando quelli che ne sarebbero divenuti i capi: Cosimo Podeia, Paolo Pastina e Pierpaolo Magliano. Sotto di loro, nell’organizzazione gerarchica del sodalizio, un gruppo di fedelissimi che si occupava dello stoccaggio dello stupefacente, del trasporto dal Napoletano e delle attività di distribuzione e riscossione. A tenere i rapporti con i fornitori di Marano e Secondigliano era innazitutto Podeia, a cui era pure rimessa la contabilità dell’associazione.

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Una contabilità rigorosa, che fissava a ogni venerdì l’incasso delle percentuali dovute dalla rete di pusher e, contestualmente, la distribuzione delle nuove partite di droga da immettere sul mercato. Secondo la Procura le attività di riscossione erano affidate prima a Marco Molinaro e Gennaro Bisceglia e in un secondo momento a Paolo Cesaro. In quello stesso appuntamento settimanale i vertici del clan individuavano pure gli spacciatori verso cui sarebbero scattati i pestaggi, o per punire un ritardo nei pagamenti o perché non avevano rispettato i patti e si erano riforniti da gruppi diversi.

Tra gli incaricati delle spedizioni punitive c’era tra gli altri Gianluca Citarelli, che nel 2010 iniziò a collaborare con gli inquirenti dopo essere sfuggito lui stesso a un attentato dei fornitori napoletani per una partita di droga andata dispersa. Oltre a lui, la Procura ha identificato nel novero dei picchiatori anche i tre capi dell’organizzazione e con loro Giuseppe Buono, Cosma Palma, Andrea Moffa, Giuseppe Melillo, Christian Viscido, Ricky Piano, Marco Molinaro, Paolo Cesaro, Filippo Barbagallo. La forza intimidatrice del sodalizio era tale che quasi mai le vittime dei pestaggi si facevano refertare e, se proprio erano costrette dalla gravità delle ferite a rivolgersi al Pronto soccorso, dichiaravano di essere cadute. Emblematico, nella ricostruzione degli investigatori, il caso di una donna di Sicignano, talmente impaurita che pur di saldare subito il conto uscì di casa per raggiungere Battipaglia nonostante la neve e una figlioletta ammalata.

Al nucleo centrale dell’associazione si accompagnava una rete di corrieri e di acquirenti anche occasionali, che sapeva delle attività illecite si rivolgeva al nuovo clan per procurarsi hashish, cocaina e shunk, il cosiddetto spinello sintetico. Il gruppo si avvaleva anche di una rete di sodali o fiancheggiatori che metteva a disposizione garage e circoli ricreativi per i deposito e il “taglio” della droga. Ed era prassi l’uso al telefono di un linguaggio criptico, in cui l’hashish diveniva caffè e per testarne la qualità si chiedeva se era dolce o era risultato amaro. Ma non c’era solo la droga. All’inizio, quando la rete di spaccio era ancora in rodaggio, gli acquisti dello stupefacente erano stati finanziati da Podeia, Pastina e Magliano con la truffa dello slot machine, lo svuotamento fraudolento delle “macchinete” collocate in bar e circoli di Battipaglia. E poi c’era la vendita di fuochi pirotecnici, quella per cui l’ex consigliere comunale Orlando Pastina è accusato di aver violato le leggi pur di garantire il monopolio al clan del figlio Paolo. (c.d.m.)

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