Le indagini 

Dosi nascoste nei palloncini e linguaggi in codice al telefono

Conversazioni criptiche, cellulari con intestazioni fittizie e nascondigli di ogni sorta. Le nuove leve del clan D’Agostino, il gruppo 2.0 per l’appartenenza generazionale, comunicava e riforniva i...

Conversazioni criptiche, cellulari con intestazioni fittizie e nascondigli di ogni sorta. Le nuove leve del clan D’Agostino, il gruppo 2.0 per l’appartenenza generazionale, comunicava e riforniva i clienti seguendo i metodi e le regole “classiche” della criminalità organizzata. Innanzitutto i carichi di droga che arrivavano dovevano essere nascosti in luoghi sicuri ma, soprattutto, difficilmente riconducibili ai membri del sodalizio di spacciatori. Così, innocui palloncini colorati, quelli che si gonfiano per i compleanni dei bambini, diventavano ottime custodie di dosi già pronte di cocaina e hashish. Incapsulata nei palloncini, la droga veniva nascosta dietro delle mattonelle alle quali i pusher fanno spesso riferimento nel corso delle conversazioni telefoniche. «Prendile le mattonelle, hai capito?», domanda Massimiliano Sabato al nipote, Carmine Caputo. «Va bene, ora vado dal ragioniere – gli risponde – e vedo che cosa posso fare». Durante una perquisizione a Pellezzano, nei garage di un palazzo di Traversa dei Greci, poi, sono stati ritrovati, tra le mattonelle accatastate, i resti di un palloncino giallo strappato oltre a tutta la strumentazione per il confezionamento della droga.
Otre ad avere nascondigli sicuri (uno anche in via Spontumata a Pellezzano il gruppo guidato da Ciro D’Agostino – che cercava di tenere alto il nome del clan salernitano dopo l’arresto dei fratelli boss – aveva una particolare attenzione a non utilizzare mai un linguaggio esplicito durante le telefonate. Regola che valeva sia per gli spacciatori (gran parte di loro pronti a partire dall’ex Villaggio dei puffi) che per i clienti. Secondo il gip le comunicazioni eranom rapidissime, prive di particolari. Inoltre gli interlocutori celavano il luogo fissato per gli appuntamenti, cosa che non avrebbe alcun motivo di essere se le comunicazioni avessero avuto ad oggetto qualcosa di lecito. Ad esempio, c’è un tale che chiama 5 volte l’interlocutore per dirgli il numero degli amici che sarebbero andate a ballare, anche dopo che i due si erano incontrati più volte. Il numero delle persone per serate danzanti inesistenti era solo uno dei tanti linguaggi in codice utilizzati dal sodalizio criminale. Si faceva riferimento anche a biglietti della partita, bollette da scommettere, caffè e tute. Linguaggi veramente criptici. E anche per far riferimento l’uno all’altro parlavano di un generico ragioniere, ofacevano riferimento a un generico “zio” riconosciuto come Massimiliano Sabato (uno dei riferimenti apicali), tramite tra D’Agostino e il nipote Caputo. La prudenza, però, non è mai troppa e, nonostante la generazione sia 2.0, uno dei pusher utilizza spesso una cabina telefonica non solo per chiamare, ma anche per inviare sms. L’unico momento in cui gli spacciatori sono più espliciti è quando si incontrano di persona oppure in auto, dove anche D’Agostino si lascia sfuggire un più esplicito: “che vi serve? Quattro grammi?” Addetti al rifornimento dalla droga da Ottaviano, in auto fino a Salerno, erano due personaggi già noti negli ambienti della criminalità ebolitana, Davide Carratù, detto o’professore come il più famoso boss della Nco, e suo fratello Gianluca. I due conservano anche una parte del “carico” da destinare al mercato di Eboli. Non tutti gli affari della banda di spacciatori va a buon fine. Dalle intercettazioni telefoniche, infatti,emerge anche un cliente che chiama per lamentarsi della brutta figura rimediata con gli amici per una fornitura di cocaina scadente e poco abbondante. (e.t.)
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