Don “cinquecento" il monsignore bancario

Il soprannome deriva all’alto prelato dalla disponibilità abituale di banconote di grosso taglio. È il “pupillo" del cardinale Martino. L’arcivescovo Moretti: «Vicenda dolorosa»

Negli ambienti ecclesiastici monsignor Scarano si era guadagnato il soprannome di “don Cinquecento”, per le banconote di grosso taglio di cui aveva sempre disponibilità. Ce n’erano, secondo l’accusa, anche nel borsone rigonfio che nel 2009 portò da Roma a Salerno per cambiare 560mila euro in contanti in altrettanti assegni che suoi amici fidati gli avrebbero consegnato come fittizie donazioni. Per questo scambio il prelato è indagato per riciclaggio, insieme ai 56 “donatori”, dalla Procura di Salerno, che sulla provenienza di quel denaro vuole vederci chiaro. Secondo le indiscrezioni tra i coinvolti potrebbero esserci gli stessi armatori D’Amico, oltre ad altri imprenditori, professionisti e, pare, a un politico. Scarano, 61 anni, avrebbe utilizzato per le sue operazioni finanziarie sia i conti su istituti di credito privati che due linee aperte allo Ior: una personale, l’altra denominata “fondo anziani” e destinata alla raccolta delle donazioni. Si sarebbe avvalso inoltre del suo ruolo nell’Apsa, l’Amministrazione dell’intero patrimonio della Santa Sede, dove è stato fino al mese scorso responsabile della contabilità analitica dell’amministrazione, prima di essere sospeso proprio in seguito all’indagine salernitana. Per la scalata alle stanze gli è stata d’aiuto l’amicizia del cardinale salernitano Renato Raffaele Martino, di cui è ritenuto il pupillo, sebbene pare che negli ultimi tempi i rapporti si siano un po’ incrinati per le voci secondo cui Scarano avrebbe preso l’abitudine di presentarsi come nipote del porporato. Ma l’incarico nell’Apsa non è l’unico punto di contatto tra il monsignore salernitano e il mercato finanziario e immobiliare. Prima di prendere i voti, nel 1987, Scarano era stato funzionario di banca nell’istituto d’America e d’Italia e nella Deutsche bank. Poi la “chiamata” e la gestione di una parrocchia a Eboli, in località Santa Cecilia. Il salto a Roma arrivò presto e il prelato si trasferì in nella prestigiosa pensione tra via Della Scrofa e piazza Navona. Il suo, secondo gli accertamenti della Guardia di Finanza, è un patrimonio enorme, milioni e milioni di euro sia in denaro contante che in proprietà immobiliari e opere d’arte. L’appartamento nel centro storico di Salerno (quasi

cinquecento metri quadrati con terrazza sul Duomo) è una casa museo, una sorta di pinacoteca dove sono state viste opere di De Chirico, Guttuso e perfino di Caravaggio. Poi ci sarebbe un immobile a Capaccio, al quale lui stesso fa forse riferimento in una intercettazione in cui secondo gli inquirenti parla del suo compenso per l’operazione in favore dei D’Amico: «Se devo aiutare lì, per prendermi la casa di lì, purtroppo ci vogliono – dice a Giovanni Zito – Ho detto due e mezzo, perché uno se ne va per Paestum e uno se ne va per là». Al mercato immobiliare d’altronde è avvezzo, per aver fatto parte di due società che si occupano di costruzioni e compravendita. «Piena fiducia nella magistratura riguardo la dolorosa vicenda di monsignor Nunzio Scarano – è il commento dell’arcivescovo di Salerno, Luigi Moretti – A lui va la vicinanza dell’Arcidiocesi di Salerno-Campagna-Acerno».