il processo sui fondi per la ricerca

Docenti universitari assolti «Non si è raggiunta la prova»

«Non può ritenersi raggiunta la prova della colpevolezza degli imputati». Con questa formula la giudice Renata Sessa ha assolto il professore Saverio Salerno e altri sette imputati, tra docenti...

«Non può ritenersi raggiunta la prova della colpevolezza degli imputati». Con questa formula la giudice Renata Sessa ha assolto il professore Saverio Salerno e altri sette imputati, tra docenti universitari e professionisti, finiti sotto processo con l’accusa di avere organizzato una truffa sui fondi per la ricerca. Nel corso del giudizio abbreviato è emerso che alcune anomalie contabili rilevate dagli inquirenti possono essere statefrutto solo di errori e magari di una «gestione caotica» della rendicontazione, ma senza che ciò implichi condotte illecite. La sentenza spiega che nemmeno può escludersi che alla base vi fosse invece un piano preordinato, come sostenuto dal pubblico ministero Rocco Alfano, ma che questa tesi si ferma «ad una ricostruzione concettuale che non trova addentellati precisi e univoci». Insomma, non si può giungere a «quel grado di certezza che la norma penale impone».
Oltre al professore Salerno (fondatore del “Polo di eccellenza”) erano imputati il docente Ciro D’Apice, il ricercatore Antonio Raia, il commercialista Carmine Capozzi, Salvatore Montefusco in organico al personale tecnico del Diem (il Dipartimento di ingegneria dell’informazione ed elettrica e matematica applicata), Carole Montefusco (assegnista al Diem), Luca Romanelli (dipendente tecnico del Diem) Simonetta Rotondi (moglie del commercialista Capozzi e sua collaboratrice). Erano accusati di avere drenato finanziamenti pubblici tramite centri di ricerca e consorzi universitari, rendicontando più ore di quelle lavorate e dirottando fondi su un prodotto commerciale (l’Iwt per l’insegnamento on line), di proprietà della società Moma riconducibile ad alcuni di loro. Testimonianze e consulenze tecniche prodotte dal difensore Giuseppe Della Monica hanno minato l’impianto accusatorio sotto un doppio profilo: da un lato si è dimostrato che la complessità dei progetti aveva indotto in errore alcuni collaboratori, che solo per sbaglio ritenevano di non avervi partecipato; dall’altro si è precisato che le tematiche di Iwt rientravano lecitamente in molti dei progetti finanziabili. Per la sentenza restano quindi in piedi solo congetture e “voci di corridoio”, insufficienti a dimostrare la presunta organizzazione di un raggiro. (c.d.m.)
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