«Dobbiamo eleggere uno nostro»

Pagani: al processo “Linea d’ombra” spuntano le intercettazioni del boss Tommaso Fezza

PAGANI. Il boss del clan della “Lamia” Tommaso Fezza aveva mire politiche e contatti con esponenti dell’amministrazione comunale paganese. È questo il contenuto delle intercettazioni ambientali rimaste fuori dal processo dopo il rigetto del tribunale per mancanza di riferimenti specifici agli imputati del processo “Linea d’ombra”. Lo ha spiegato sinteticamente lo stesso avvocato Diddi, difensore dell’ex sindaco di Pagani Alberico Gambino. «Un certo Tommaso Fezza, un certo La Femina e un certo Mandiello parlano di pressioni e appalti... si tratta della selezione di un mondo di telefonate. Noi come difesa dobbiamo capire quanto Gambino fosse connivente, consapevole, di questi discorsi dove non c’è mai il nome Gambino… dove c’è il nome di Francesco Cicalese, all’epoca dentro Multiservice e Tommaso Fezza parla con lui. Bisogna capire se questi discorsi sono sfociati in qualcosa, per capire se Gambino fosse messo a parte di qualcosa».

Le intercettazioni, peraltro già agli atti del processo Taurania, chiuso in appello, riportano il nome di Salvatore Bottone, perché come spiegato da Diddi «si parla di condizionare il Comune non grazie a Gambino ma grazie a Bottone, al quale avremmo potuto chiedere conto di tante circostanze contestate al sindaco Gambino. E poi c’è Pasquale Ultimo, perché questi signori parlano tra loro di influenzare il Comune grazie a tale assessore. E poi Mandiello, che doveva essere il fortunato da votare. Sono suggestioni».

Il tribunale presieduto dal giudice Anna Allegro ha escluso l’acquisizione, rigettando anche la consulenza sulla monetizzazione dell’ingegnere Romano, delle perizie e la richiesta “irrilevante” di risentire il tenente Beraldo, lasciando la riserva sulla materiale produzione del provvedimento di confisca degli immobili riferibili all’imputato Antonio Petrosino D’Auria. Le conversazioni svolte in auto tra il boss Fezza e Mandiello, non acquisite, pubbliche da anni, lasciano pensare. «L’idea che tengo io è piaciuta a tutto il quartiere – diceva Tommaso Fezza - per non far capire che dietro al partito ci sono io, altrimenti dicono che sono i voti della camorra…», con Mandiello che successivamente, nel mezzo di una discussione su partiti legati a gente del popolo, raccontava: «Sì, sì, la Democrazia cristiana. Mo mi aveva chiamato pure Gambino, mi voleva mettere con Forza Italia...». E il boss spiegava di convogliare tutti i voti su una sola persona. «Il più scemo, sai a chi dobbiamo votare? Dobbiamo votare a quello che sta più vicino a noi, perché tutta la gente, deve capire che i voti sono i nostri. Così si vede la potenza». La stessa potenza intimidatoria che spuntava inquietante di fronte ai dinieghi. «Tu mi hai fatto fare una cooperativa, mi hai fatto spendere i soldi – lamentava o’ Furmaggiaro - vuè cornuto io piglio e ti sparo in testa, che dici?».

Tutto questo è fuori dal dibattimento. Insieme all’anomala interruzione delle mire politiche del clan poco prima delle amministrative 2007 a Pagani.

Alfonso T. Guerritore

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