Diplomi col trucco 47 imputati dal gup Il pm: «Processateli»

La requisitoria contro professori e studenti accusati di falso Allievo sceglie di patteggiare, per gli altri udienza a marzo

Solo uno dei 47 imputati per lo scandalo dei diplomi facili ha chiesto di patteggiare. È una studentessa, una dei 35 iscritti alla suola paritaria Piaget di Eboli che secondo gli inquirenti sarebbe riuscita a conseguire il titolo di studio senza l’onere di frequentare le lezioni. Tutti gli altri – alunni, docenti e titolare dell’istituto – hanno scelto di affrontare il rito ordinario e ieri mattina, davanti al giudice dell’udienza preliminare Pietro Indinnimeo, il pubblico ministero Rocco Alfano ha chiesto per loro il rinvio a giudizio. Sono tutti accusati di concorso nel reato di falso, per aver fatto figurare una presenza in aula che invece era rimasta (per tutto o parte dell’anno scolastico) soltanto sulla carta. Grazie a quegli attestati di frequenza i trentacinque studenti finiti sotto inchiesta poterono accedere agli esami di maturità, conseguendo il diploma di operatore sociale o ragioniere. L’inganno si sarebbe realizzato tramite la falsificazione dei registri di classe, annotando come presenti persone che non si erano mosse da casa e che spesso abitano e lavorano in altre città, anche del Nord Italia.

Sulla richiesta di rinvio a giudizio si deciderà a marzo. A rischiare il processo – con accuse che per alcuni comprendono anche l’abuso di ufficio – sono tra gli altri Giuseppe Coccaro, l’amministratore della Docet Italia titolare dell’istituto paritario, la coordinatrice del plesso, Luisa De Simone e gli insegnanti Trotta, Vitolo, Russo, Di Maio, Iannuzzi, Leo, Sinopoli, Brando, Cici, Fiorello, Capone, Matonti, Caggiano, D’Angelo e Saracino. Con loro tutti gli iscritti che avrebbero beneficiato dell’accordo truffaldino, realizzato in vista della sessione d’esame 2010 e venuto alla luce quando si è riscontrato che alcuni alunni risultavano presenti in contemporanea a scuola e al loro posto di lavoro, coinvolti talora anche in progetti finanzianti da fondi pubblici e con il coinvolgimento di enti e cooperative sociali. Il sospetto della Procura è che proprio grazie alla prassi di chiudere un occhio sulla presenza in classe la Piaget fosse riuscita a reclutare in giro per l’Italia centinaia di iscritti, avvantaggiandosi di un passaparola in cui si indicava l’istituto di Eboli come una centrale di “diplomi facili”, che andava incontro alle esigenze soprattutto di chi voleva conciliare i tempi del lavoro con il conseguimento del titolo di studio. Così la scuola paritaria avrebbe fatto le sue fortune tra studenti “fuori sede” e sarebbe riuscita a sfornare centinaia di nuovi diplomati ogni anno. Insospettiti dai numeri elevati, gli inquirenti avviarono gli accertamenti, sequestrarono i registri di classe e verificarono – attraverso meri incroci documentali – che molti studenti non avevano mai lasciato la propria città di residenza.

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