La vertenza

Dipendenti licenziati: «Chiederemo i danni al Comune di Salerno»

I nove professionisti si rivolgeranno al giudice del lavoro per essere reintegrati

Amarezza: è questo il termine che meglio descrive lo stato d’animo dei nove dipendenti comunali licenziati in seguito alla sentenza del Consiglio di Stato che ha reputato illegittima la procedura con la quale furono stabilizzati nel 2008. Si rivolgeranno al giudice del lavoro per chiedere la reintegra e un risarcimento danni, ma allo stato sono fuori dal mondo del lavoro, con i figli da mantenere, mutui e affitti da pagare e un’esperienza professionale maturata sul campo per oltre quindici anni, da resettare. Gaetana Pinto, geometra, madre di due bambini, è una di loro. Iniziò a lavorare a Palazzo di Città nel 2000, grazie a una procedura di reclutamento voluta dall’urbanista Oriol Bohigas per il Piano regolatore. «Ci hanno tenuto all’oscuro di tutto e questa è la cosa che ci ferisce di più – racconta – Non siamo mai stati convocati, nessuno ha mai avuto il coraggio di guardarci negli occhi e di dirci quello che stava accadendo».

Ora pagano sulla loro pelle l’errore commesso da altri: la procedura, secondo i giudici di Palazzo Spada, per essere valida, doveva prevedere un concorso pubblico con una quota aperta al pubblico, ma così non è stato. Al di là della normativa, è mancata, fino a questo momento, la volontà politica di riparare. Anzi, all’indomani della pronuncia del Tar – a cui i nove comunali si erano rivolti per salvare il posto di lavoro – che aveva ritenuto illegittimi i primi licenziamenti voluti da Palazzo di Città, è seguito un appello al Consiglio di Stato, proposto dallo stesso Comune, che ha ribaltato i loro destini. Un passaggio dettato dal tentativo di bloccare la scure della Corte dei Conti che, per sanare il danno erariale, ha chiesto 66mila euro a ciascuno degli allora assessori e dirigenti che firmarono la delibera di stabilizzazione. «Purtroppo solo chi questa situazione la vive da tre anni e mezzo può capire quello che abbiamo sopportato – spiega Gaetana Pinto, che ha affidato a un post su Facebook il suo sfogo – False speranze, false remore e invece reali azioni amministrative del tutto gratuite e volte solo a tutelare meri interessi di alcuni. Venivamo da una realtà “diversa”, quella del lavoro privato, ed essendo abituati a determinati orari, ritmi e responsabilità, abbiamo mantenuto uno standard qualitativo alto e spero che quanti ci abbiano conosciuto lo possano confermare. Abbiamo sempre lavorato con dedizione a qualunque mansione o nuovo obiettivo da raggiungere, avendo in noi uno spiccato senso del dovere, ma purtroppo a nostre spese abbiamo compreso che la meritocrazia e il comportamento dignitoso che in questi anni abbiamo avuto, non ci hanno ripagati. Abbiamo pagato per una colpa non nostra e per una procedura amministrativa non scritta da noi». Da domani Gaetana deve inventarsi un nuovo lavoro: «Ho un fitto da pagare e due figli da crescere. Mio marito lavora, ma un solo stipendio in casa non basta. Devo ricominciare tutto daccapo, sperando di trovare nuove opportunità».

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