IL DOSSIER

Depurazione delle acque: Campania “maglia nera”

Nella nostra regione il 7,8% della popolazione vive in comuni senza impianti

La Campania è una delle peggiori regioni per il trattamento degli scarichi urbani. La conferma si trova nel rapporto dell’Istat pubblicato il 22 marzo per la Giornata mondiale dell’acqua. Fra vari aspetti del tema, l’Istituto di statistica accenna alla depurazione, nominando soltanto due regioni sfigate. Una è la Sicilia, “principale destinataria delle procedure d’infrazione” attivate dalla Commissione Europea contro l’Italia. “Significative le situazioni di non conformità anche in Campania – continua il documento – dove il 7,8% della popolazione vive in comuni completamente privi di servizio pubblico di depurazione”. Le informazioni sono esatte (per maggior precisione: Bruxelles destina le procedure al Governo, non alle singole Regioni), ma diventano discutibili se consideriamo l’incompletezza come una forma di inesattezza. Infatti il dossierino non cita la Lombardia, esposta più della Campania nelle infrazioni europee. Approfittiamo dell’occasione per rinfrescare la memoria ai nostri amministratori.

Sedici anni di ritardo. La Commissione ha contestato più volte all’Italia la violazione della direttiva 271/1991, che richiedeva il completo convogliamento e l’adeguato trattamento dei reflui urbani negli agglomerati di oltre duemila abitanti entro l’anno 2005. Le procedure d’infrazione ancora attive sono datate 2004 (procedura 2034), 2009 (2034), 2014 (2059) e 2017 (in realtà 2018, procedura 2181). In un bilancio aggiornato a maggio 2020, il ministero dell’Ambiente ha contato 939 siti “illegali”: 251 in Sicilia, 130 in Lombardia, 117 in Campania. Il Lazio ne ha 6, ma c’è anche Roma. La Toscana ne ha 51, ma c’è anche Firenze.

A Bruxelles si arrabbiano. Le procedure d’infrazione sono azioni legali lunghe e articolate, attivate contro lo Stato membro che disattende il diritto dell’Unione. Il Paese reo deve recepire i richiami o dimostrarne l’infondatezza, altrimenti, dopo alcuni passaggi di contraddittorio, può ritrovarsi davanti alla Corte di giustizia, che quasi sempre accoglie le ragioni dell’accusa. Se la trasgressione persiste, può arrivare la seconda condanna, appesantita dalle multe milionarie. La Commissione non pubblica i testi delle procedure, per cui l’opinione pubblica è sostanzialmente disinformata su materie delicatissime che riguardano la salute umana e politica. La completa chiarezza arriva soltanto con la pubblicazione delle sentenze, molti anni dopo l’avvio della procedura. Paradossalmente, almeno per le questioni ambientali, sono più trasparenti le Regioni e soprattutto gli enti sottostanti (la Lombardia si distingue in positivo).

Gli abitanti equivalenti. Vediamo un altro punto critico. La comunicazione istituzionale indica normalmente il numero degli agglomerati irregolari, trascurando il parametro più importante, cioè gli abitanti equivalenti, ossia il numero di persone che affollano l’agglomerato (residenti, pendolari, visitatori, turisti). Un’area fortemente industrializzata pesa sul sistema fognario-depurativo molto più di una semplice area rurale o cittadina. Infatti i 251 agglomerati siciliani “servono” 6,9 milioni di abitanti equivalenti. La Lombardia ha la metà di siti difformi (130) ma espone 5,6 milioni di abitanti equivalenti, secondo valore nazionale. La Campania completa il “podio” disdicevole con 4,9 milioni di abitanti equivalenti insediati nei 117 agglomerati. I dati sono del ministero, aggiornati al 2020.

Il super commissario. La situazione italiana è tanto complessa che il Governo ha nominato un commissario, Maurizio Giugni, per sistemare gli agglomerati difformi. In origine il funzionario curava i siti elencati nelle prime due procedure, che frattanto hanno prodotto frutti amari.

Le prime sentenze. La procedura 2004/2034 è arrivata alla seconda condanna, che addita anche 6 impianti campani (erano 10 nella prima). La procedura 2009/2034 ha visto condannare per le fognature 8 agglomerati pavesi e milanesi; alcuni di questi, più altri 6 della Lombardia, sono stati condannati anche per le carenze del trattamento secondario e per la ridotta capacità degli impianti. In seguito il commissario unico ha assunto la competenza sulle altre procedure, che ancora l’anno scorso coinvolgevano 111 siti campani, 128 lombardi e l’intero bacino del Po: il grande fiume e molti affluenti, secondo la Commissione, ricevono ancora quantità eccessive di fosforo e azoto in Piemonte, Lombardia e Veneto. Ora il commissariato si sta concentrando particolarmente sulle regioni meridionali, sia perché sono meno reattive sia perché fanno numeri voluminosi. Eppure il sito istituzionale elenca 76 impianti da adeguare in Lombardia e 72 in Campania. Così stando le cose, i cittadini lombardi hanno il diritto di sapere dall’Istat che anche la loro classe dirigente può fare acqua?.

Alfonso Schiavino