Delitto Rossi, chiesti 30 anni per l’assassino

Il pm Penna invoca una pena severa anche per la complice che avrebbe favorito la fuga del rumeno

Trent’anni di reclusione al rumeno Fanel Gurlea e cinque alla complice Elena Bot per favoreggiamento. Va giù duro il pm Roberto Penna nella requisitoria del processo per l’omicidio di Sergio Rossi, l’esponente di destra ucciso quattro anni fa in corso Vittorio Emanuele. Per l’accusa, ad ucciderlo furono i due componenti del gruppo di mendicanti che chiedeva l’elemosina tra piazza Mazzini e piazza Ferrovia. La vittima fu ritrovata in una pozza di sangue sotto i portici del corso, poco prima era stato visto allontanarsi proprio con i due imputati.

Quella a Sergio Rossi fu una rapina finita nel peggiore dei modi. Il 64enne salernitano fu colpito con un corpo contundente alla testa per rubargli pochi spiccioli e il telefono cellulare. Fu trovato esamine da alcuni passanti. Le sue condizioni apparvero subito gravissime e sei giorni dopo morì. Di quella morte sono imputati Gurlea con l’accusa di omicidio e rapina aggravata e la Bot perché, secondo l’accusa, procurò al connazionale i soldi per fuggire in Romania e ricevette da lui il telefono cellulare sottratto alla vittima. Il sostituto procuratore Penna, nel giungere alle conclusioni, ha chiesto la condanna per i due rumeni, soffermandosi su alcuni aspetti delle indagini che dimostrerebbero le loro responsabilità. L’accusa ha letto in aula il contenuto di alcune conversazioni intercettate nella fase di indagini, soprattutto colloqui tra l’imputato e la sorella della complice dalle quali emerge lo stato di agitazione per l’accaduto. Il pm ha parlato anche di come i testi siano stati avvicinati prima degli interrogatori per invitarli a “misurare le parole”. C'è, infine, la prova del telefono cellulare di Rossi usato la sera stessa dell’aggressione per fare due chiamate in Romania. Dal telefonino, infatti, partirono, nell’immediatezza dei fatti, due chiamate verso un’utenza rumena che - ha spiegato il pm Penna - apparteneva alla sorella di Elena Bot. In quello stesso apparecchio, dopo aver buttato la sim di Rossi, venne inserita un’altra scheda riconducibile ai due romeni con la quale furono effettuate altre telefonate in Romania sempre ad utenze intestate a loro familiari. Per l’accusa sono evidenti le prove raccolte a carico dei due ed ha chiesto al collegio, presieduto dal giudice Giancarla D’Avino, che vengano condannati. I familiari di Rossi si sono costituiti parte civile, assistiti dall’avvocato Michele Sarno. Gli imputati, invece, sono difesi dagli avvocati Lucia Miranda e Gianluca Salzano. (m.l.)

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