«Delitto di camorra» L’ex boss Vaccaro a processo col figlio

Baci e saluti con i familiari davanti all’aula del giudice A giudizio anche Esposito, che si difende: «Non c’entro»

«Un bacio, fatemi dare un bacio a mio padre». La figlia di Matteo Vaccaro aspetta con altri familiari nel corridoio al terzo piano di Palazzo di giustizia, dove qualche ora dopo il gup Maria Zambrano rinvierà a giudizio per duplice omicidio l’ex boss di Ogliara, il figlio Guido e Roberto Esposito. Sono loro, secondo le indagini del sostituto procuratore antimafia Vincenzo Montemurro, gli autori dell’agguato in cui il 5 maggio del 2015 furono uccisi a Fratte Antonio Procida e Angelo Rinaldi. Ieri Esposito è stato l’unico a parlare davanti al giudice dell’udienza preliminare. «Ciao a tutti» aveva esclamato spavaldo all’ingresso nel corridoio, poi in aula ha provato difendersi: «Sono innocente, è tutto un errore. Mi aspettavo indagini migliori». Il gup non gli ha creduto, e ha firmato per tutti gli imputati un decreto che fissa a settembre l’inizio del processo dinanzi alla Corte d’assise, quando in aula ci saranno anche i familiari delle vittime, che ieri si sono costituiti parte civile.

Il duplice omicidio, si legge nella ricostruzione della Procura, è frutto di “un disegno criminoso da inquadrare in contesti associativi di natura camorristica, legati al controllo del territorio per il predominio criminale”. La lite per l’affissione dei manifesti nella campagna elettorale per la Regione fu solo un movente occasionale, tale da provocare la reazione del vecchio boss che da poco era uscito dal carcere e vedeva messa in discussione la sua leadership. Procida e Rinaldi avevano ricevuto da Lello Ciccone (candidato in Forza Italia) l’incarico di affiggere il suo materiale in zona, ma Matteo Vaccaro pretendeva di entrare nel giro e poche ore prima dell’agguato aveva affrontato Procida nel suo bar nella piazza di Fratte. Lo aveva avvertito che sapeva del lavoro per Ciccone e gli aveva intimato di consegnare a lui almeno un centinaio di quei manifesti, perché ne gestisse la collocazione nella zona di Ogliara, dove intendeva rimarcare il suo predominio. Procida aveva reagito, ne era nata una colluttazione e infine gli aveva gridato in faccia quel «sei vecchio, non conti più nulla» che Vaccaro avrebbe vendicato col sangue.

La richiesta di rinvio a giudizio non definisce nel dettaglio la dinamica dell’agguato, limitandosi a indicare tutti gli imputati come esecutori dell’omicidio e Vaccaro senior anche nel ruolo di mandante. Da una comparazione dei fotogrammi estratti dalle telecamere di videosorveglianza, emerge che i tre si sarebbero scambiati i ruoli durante il tragitto da Ogliara alla traversa Magna Grecia, dove avvenne l’omicidio. In una prima fase Matteo Vaccaro sarebbe stato in sella allo scooter guidato dal figlio Guido, poi quel posto sarebbe stato preso da Esposito e il boss li avrebbe seguiti in auto. I risultati dell’esame stub, che ha rivelato solo sui Vaccaro tracce indicative di polvere da sparo, non è stato giudicato sufficiente a escludere che a sparare possa essere stato Esposito, corso poi a lavarsi.

Se questi elementi confluiranno nel processo in Corte d’Assise, è però tuttora aperto in Procura un altro fascicolo (al momento senza indagati) volto a verificare eventuali anomalie nella gestione dell’attacchinaggio. L’omicidio di Fratte era appena avvenuto quando gli inquirenti, con un provvedimento d’urgenza, misero sotto intercettazione i telefoni di Lello Ciccone e Matteo Marigliano, ritenuto il “ras” delle affissioni elettorali. Il gip Emiliana Ascoli ha poi negato l’autorizzazione a nuove intercettazioni e anche all’utilizzo di quelle già eseguite, ma il filone d’inchiesta resta aperto. Lo stesso Ciccone, ascoltato come persona informata sui fatti, ha confermato di avere ingaggiato Procida e Rinaldi una settimana prima del delitto, su indicazione di Marigliano. «A lui si rivolgevano tutti» ha affermato, nei fatti attribuendo al dipendente della municipalizzata Salerno Sistemi (fratello del capoclan Ciro) una sorta di monopolio. Sarebbe stato lui a proporsi come intermediario tra l’ex assessore provinciale e i due amici uccisi pochi giorni dopo, spiegando di non voler più affiggere per il centrosinistra dopo che l’ex sindaco Vincenzo De Luca aveva fatto rimuovere dal Corso il banco di castagne di un suo familiare. Marigliano, ascoltato anche lui dal magistrato, ha però sempre negato il ruolo di organizzatore delle affissioni.

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