De Luca querela la Bindi La politica va in tribunale

Ipotizzati i reati di diffamazione, attentato ai diritti politici e abuso d’ufficio La replica: «È una denuncia strumentale, priva di ogni fondamento»

SALERNO. «Se la vedranno in tribunale», aveva detto venerdì scorso Matteo Renzi commentando l’iniziativa legale annunciata da Vincenzo De Luca nei confronti del presidente della commissione bicamerale Antimafia, Rosy Bindi. E così sarà. Perché, puntuale, è arrivata ieri la querela depositata presso la questura di Salerno. Con tanto di “benedizione” del premier che, con le sue parole liquidatorie di venerdì sullo scontro tra due rappresentanti di quel Pd di cui lui stesso è il segretario nazionale, ha deciso di mettere una pietra tombale sul primato della politica. La questione “impresentabili” e le forme di controllo e segnalazione da parte di un organismo parlamentare diventano oggetto non di valutazione politica, ma di verifica da parte della magistratura. Per De Luca, la conferenza stampa tenuta dalla Bindi a meno di 48 ore dall’apertura dei seggi per le elezioni regionali potrebbe configurare tre reati: diffamazione, attentato ai diritti politici costituzionali, abuso d’ufficio. Toccherà alla procura di Roma indagare. Prima di esercitare l’azione penale – cioè eventualmente chiedere il rinvio a giudizio – dovrà trasmettere gli atti alla Camera dei deputati dal momento che la denunciata gode dell’immunità parlamentare. E qui la partita tornerebbe ad essere, in qualche modo, politica, dovendo l’assemblea di Montecitorio pronunciarsi sull’autorizzazione a procedere, in mancanza della quale le indagini dovranno essere archiviate.

La materia del contendere. La divulgazione di una lista di “impresentabili” avrebbe causato un danno d’immagine a De Luca, influenzando il giudizio degli elettori. Inoltre, secondo il neo eletto presidente della Regione, la commissione Antimafia si sarebbe dovuta limitare a segnalare ai partiti i criteri da seguire nella formazione delle liste. Infine, il fatto che l’elenco sia stato reso noto da una commissione parlamentare che si occupa di fenomeni mafiosi, avrebbe potuto indurre a ritenere che nel caso di De Luca ci fossero problemi giudiziari legati a questo tipo di reato e non, al contrario, ad un processo in corso per concussione. Dei tre reati ipotizzati, il più grave è quello di attentato ai diritti politici. L’articolo 294 del codice penale dice che “è punito con la reclusione da uno a cinque anni” chiunque “con violenza, minaccia o inganno impedisce in tutto o in parte l’esercizio di un diritto politico, ovvero determina taluno a esercitarlo in senso difforme dalla sua volontà”. Nel caso specifico si potrebbe parlare di inganno, se quanto detto dalla Bindi non rispondesse al vero. Nello specifico, il codice di autoregolamentazione prevede, all’articolo 1, che “i partiti, le formazioni politiche, i movimenti e le liste civiche che aderiscono alle previsioni” del codice stesso debbano impegnarsi a “non presentare e nemmeno sostenere” candidati nei confronti dei quali sia stato, tra l’altro, “emesso il decreto che dispone il giudizio” per una serie di reati tra cui (alla lettera b) quello di concussione. Vale a dire il reato contestato a De Luca nell’ambito del processo “Sea park”, per il quale lo stesso ex sindaco ha rinunciato alla prescrizione, ma che non è ancora concluso con una sentenza. E, quindi, rientra nella casistica prevista dal codice dell’Antimafia.

Il piano politico e il piano giudiziario. Può essere considerata inopportuna l’iniziativa della presidente di commissione di presentare i risultati del lavoro di verifica sulle liste elettorali a poche ore dalla chiusura della campagna elettorale, lasciando ai candidati un margine di poche ore – poco meno di 11 – per difendersi e confutare errori che pure sono possibili. Tuttavia, occorre precisare che si tratta di un accertamento basato non su parametri arbitrari ma su un codice di autoregolamentazione in materia di formazione delle liste elettorali che la commissione ha approvato il 23 settembre dello scorso anno. Anche in questo caso può essere mossa qualche censura: può essere discutibile la scelta di appiattire le verifiche sull’opportunità di talune candidature solo sulla rispondenza a parametri rigorosamente ancorati all’azione della magistratura, per altro quella inquirente e nemmeno quella giudicante. Ma appena otto mesi fa i partiti erano tutti d’accordo con questa linea: il codice fu approvato all’unanimità in commissione e discusso – senza che emergessero censure formali – sia alla Camera che al Senato. E ora, con la querela, anche l’ex sindaco di Salerno ha scelto la via giudiziaria.

La linea della Bindi. «Quella di De Luca è una denuncia priva di ogni fondamento, un atto puramente strumentale, che ha scopi diversi da quelli che persegue la giustizia e che pertanto non mi crea alcuna preoccupazione» è stato il commento di Rosy Bindi. E a sostegno dell’ex ministro della Salute sono scesi in campo anche alcuni parlamentari del Pd, come il capogruppo in commissione Giustizia della Camera, Walter Verini che all’Ansa ha dichiarato: «Credo che sia sempre meglio querelare la mafia piuttosto che l’Antimafia». Una cosa «del tutto fuori luogo, una esagerazione», l’ha definita un altro deputato dei democratici, Alessandro Naccarato. E, d’altra parte, quale fosse la linea di condotta che avrebbe seguito, la Bindi lo aveva detto chiaro e tondo nella seduta della commissione in cui fu approvato il codice: «È chiaro che non è che noi autorizziamo o non autorizziamo il deposito di quelle liste, però possiamo dire agli italiani che in quella regione, in quel comune ci sono delle liste che rispettano queste regole e altre che non le hanno rispettate. Questa non è propaganda politica».

Lady Mastella. La linea della carta bollata l’ha seguita anche Sandra Lonardo, la moglie dell’ex ministro della Giustizia Clemente Mastella che, nonostante un’ottima affermazione in termini di consensi, non ce l’ha fatta ad essere rieletta in Consiglio regionale. L’ex presidente del parlamentino di Napoli ha annunciato di aver dato mandato ai suoi legali di querelare la Bindi «per diffamazione e per attentato alla Costituzione».

L’ostacolo “Severino”. Ma la saga dell’intreccio tra politica, istituzioni rappresentative, uffici giudiziari attende che venga scritto, in queste ore, un altro capitolo, quello decisivo per le sorti della Regione: gli effetti della legge Severino sul neo eletto presidente. Dalla prefettura di Napoli, in attesa della comunicazione ufficiale della condanna di De Luca per abuso d’ufficio nel processo sul termovalorizzatore, sarebbero stati chiesti lumi al Ministero dell’Interno sulla procedura da seguire. Anche se margini di discrezionalità non ve ne sarebbero: la comunicazione degli uffici giudiziari dovrà essere girata alla presidenza del Consiglio per il provvedimento di sospensione. Che potrebbe arrivare quando De Luca avrà già nominato un vice, consentendo l’avvio delle ordinarie attività della Regione.

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