De Luca gioca a nascondino in tribunale

Attende in un’altra aula l’appello degli imputati poi si presenta per fornire la sua versione sul caso Sea Park per cui è alla sbarra

Per l’ingresso a Palazzo di Giustizia – la seconda volta in poco più di un mese – Vincenzo De Luca aspetta la telefonata del difensore Paolo Carbone. È il segnale di via libera per dire che la Corte è entrata e lui può raggiungere l’aula del processo Sea Park senza doversi sottoporre a un’attesa dinanzi a giornalisti e curiosi. Manca poco alle 4 del pomeriggio quando il presidente della Regione arriva per rendere dichiarazioni spontanee, accompagnato dal fidato Felice Marotta che al Comune riveste l’incarico di consulente per l’attuazione del programma. Prima di sedersi dinanzi al microfono deve comunque aspettare che l’udienza sia aperta e i giudici completino l’appello di ben 43 imputati, allora s’infila con Marotta in un’aula contigua, con la luce spenta e una “sorveglianza” dinanzi alla porta a fare da respingente. Aspetta fino all’ultimo minuto utile, tanto che il tribunale deve dapprima dichiararlo contumace e poi rettificare, quando l’avvocato ne annuncia la deposizione e lui fa il suo ingresso in aula. «Sono qui – premette – per un atto di doveroso di rispetto per la Corte e per tentare di dare un contributo al chiarimento di questa vicenda». Una storia che inizia nel 1998, quando l’Ideal Standard smobilita e per i duecento operai si ipotizza il reimpiego in un parco acquatico che però non sarà mai realizzato.

A carico di De Luca, di altri amministratori, sindacalisti e imprenditori si ipotizza l’organizzazione di un raggiro che tra gli obiettivi ha la truffa ai danni dello Stato, con la concessione di cassintegrazioni non dovute. A chi gestiva il Comune si imputa inoltre il reato di concussione, per avere “estorto” all’impresa un impegno a oneri urbanistici ritenuti eccessivi. Per il governatore è un’accusa che brucia, perché su di essa si è poggiato quel marchio di “incandidabile” attaccatogli da Rosy Bindi alla vigilia delle elezioni regionali. Davanti al tribunale presieduto da Vincenzo Siani rileva innanzitutto una contraddizione: «Da un lato si formula l’ipotesi di un vantaggio a gruppi imprenditoriali, poi si afferma la cosa opposta, dicendo che avrei coartato questi imprenditori fino a farli falllire». Due falsità secondo De Luca, «perché di una speculazione non c’è mai stata nemmeno l’ipotesi» e perché «la realizzazione di strade, parcheggi e fognature era doverosa quando si prevedeva di fare arrivare in quella zona un milione di visitatori». Soprattutto, le dichiarazioni al Tribunale sono servite a chiarire il contesto del momento di crisi occupazionale, a ricordare che a sollecitare interventi delle istituzioni fu per primo il prefetto e a sottolineare che «dopo il protocollo in Prefettura è andato avanti un lavoro tecnico che la parte politica non ha seguito in nulla». Il copione è per certi versi analogo a quello adottato a gennaio nel processo sul termovalorizzatore e punta a dividere il ruolo politico da quello tecnico: «L’individuazione dell’area è stata affidata esclusivamente all’ufficio di piano, a quello urbanistico e all’assessorato. Nessuno ha interferito. Non sapevamo neanche quale fosse la particella». Per il tema della cig vale la stessa distinzione: «Da parlamentare sono stato sollecitato a premere sul Governo per il rinnovo della cassintegrazione, ma la sollecitazione politica non decide se l’ammortizzatore sia dovuto o no (questo lo fanno gli uffici del Ministero e dell’Inps) serve solo a non far cadere la vicenda nel dimenticatoio. È tutto qua, la mia funzione è stata quella di rappresentante del territorio. Ho difeso gli interessi della nostra comunità, nell’ambito della mia competenza istituzionale». Se ha convinto il pm, Vincenzo Montemurro, lo si saprà il 14 marzo quando ci sarà la requisitoria.

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