De Luca, arriva la condanna

Un anno per abuso d’ufficio alla vigilia del verdetto d’Appello sulla decadenza

SALERNO. Colpevoli. Sono passate da dieci minuti le 19 quando il giudice Ubaldo Perrotta legge la sentenza che sbarra a Vincenzo De Luca la strada per la Regione. Pena di un anno per il reato di abuso d’ufficio, con annessa interdizione dai pubblici uffici per lo stesso periodo, anche se per ora entrambe sono sospese fino al giudizio in Cassazione. Con la condanna del sindaco arrivano anche quelle del suo capo staff Alberto Di Lorenzo (in foto) e del dirigente dei lavori pubblici Domenico Barletta: stessa pena per tutti, dopo una camera di consiglio durata sei ore e chiusa col parziale accoglimento della requisitoria del pubblico ministero Roberto Penna, che aveva chiesto per tutti una pena di tre anni per peculato.

L’imputazione. La vicenda è quella della progettazione per il termovalorizzatore, che nel 2008 era competenza di De Luca nella qualità di commissario di governo. «Poteva agire in deroga, ma aveva il dovere di rispettare la legge e di rendere conto delle spese alla collettività» ha argomentato il pm nelle conclusioni. Invece la legge sarebbe stata violata affiancando al responsabile unico del procedimento (l’ingegnere Barletta) il project manager Di Lorenzo, una figura professionale che gli inquirenti prima e i giudici ieri hanno individuato come non prevista dall’ordinamento degli enti locali, e quindi vietata. La scelta fu di De Luca, che esautorò di fatto l’ingegnere Lorenzo Criscuolo, incaricato solo quattro giorni prima del coordinamento del gruppo di lavoro. Una nomina che il pm ha definito «illegale, inutile e dannosa», perché consentì a Barletta di firmare in favore di Alberto Di Lorenzo un mandato di pagamento per 20mila euro lordi, che costituiva l’acconto di un compenso totale calcolato in 180mila euro ed è costato al dirigente dei lavori pubblici il coinvolgimento nel processo. Per questo l’accusa aveva formulato il capo d’imputazione di peculato, rilevando un indebito incasso di denaro. Ipotesi che i giudici (presidente Perrotta, a latere Mariano Sorrentino e Oreste Cantillo) hanno derubricato in abuso d’ufficio, abbassando la pena a un anno in un calcolo che ha tenuto conto da un lato della riduzione per le attenuanti generiche e dall’altro dell’aumento per la continuazione.

Le reazioni. Di Lorenzo, l’unico imputato presente alla lettura del dispositivo e il solo ad aver presenziato a tutte le udienze, ascolta la sentenza ammutolito e con gli occhi lucidi. Quando ritrova il fiato è solo per pochissime parole di stupore: «Non me lo aspettavo, assolutamente non me lo aspettavo». Un’ora dopo affiderà a un post su facebook il suo commento: «Sono stato condannato per un reato che credevo di non aver commesso. Evidentemente mi sbagliavo. Tuttavia la mia fede incrollabile nella giustizia ne esce perfino rafforzata. Chiedo scusa a tutti». Il difensore Arnaldo Franco annuncia ricorso in appello e lo stesso faranno gli avvocati Paolo Carbone e Antonio Brancaccio per De Luca e Francesco Dambrosio per Barletta. «Ci attendevamo un’assoluzione – confessa Carbone – non è andata così, ma impugneremo la sentenza». In aula ci sono l’assessore Mimmo De Maio, il consigliere comunale Horace Di Carlo, il padre dell’assessore Alfonso Buonaiuto. Davanti all’ingresso del Tribunale arrivano il nuovo vicesindaco Enzo Napoli, l’assessore Nino Savastano, il consulente Felice Marotta. Nessuno commenta. Si pensa alla reazione del partito nelle scelte sulle primarie. De Luca è al telefono, parla a lungo con Marotta, calibra la dichiarazione che in serata sarà diramata alla stampa. Dentro il palazzo di giustizia anche il pm telefona, informa della sentenza il procuratore capo Corrado Lembo, e non è escluso che questa mattina parta proprio dal suo ufficio la comunicazione alla Prefettura prevista in sentenza, per l’applicazione a De Luca della legge Severino,che lo sospende dagli incarichi pubblici. Anche se lui seguirà la strada spianata da Luigi de Magistris e presenterà ricorso al Tar .

Il sindaco. Per De Luca è la prima sentenza di condanna. «La nomina del project manager mi fu richiesta dal rup (responsabile unico del procedimento) – commenta – L’accusa ha sostenuto che bisognava nominare un coordinatore e non un project manager, in quanto quest’ultima figura non è in uso nella pubblica amministrazione. In sintesi, le due figure sono equivalenti, il compenso spettante è uguale, e viene deciso dal rup. Si tratta, nel caso specifico, di 8mila euro netti, percepiti per 18 mesi di intenso e qualificato lavoro». Quindi il rilancio: «Mi auguro che questa vicenda sia assunta sul piano nazionale, in primo luogo dal Pd, come l’occasione per una grande battaglia a difesa degli amministratori che dedicano una vita al bene pubblico, e sono costretti a vivere un calvario. Mi auguro che si sviluppi una discussione pubblica; che si ragioni a voce alta su cosa è diventato il “diritto” in Italia. Mi auguro che l’Anci (l’associazione dei Comuni ndr) decida di esistere, a tutela della dignità, delle funzioni e dell’autonomia di sindaci e amministratori che non rubando, non disamministrando, sono tuttavia carne da macello, nell’indifferenza generale. In queste condizioni, non ci sarà più nessuna persona perbene disponibile ad assumere responsabilità pubbliche».

Gli altri nodi. La “via crucis” giudiziaria prosegue oggi, con l’udienza civile per la decadenza dal ruolo di sindaco. Ma c’è dell’altro, perché a febbraio si aprirà il processo sul Crescent e in corso c’è quello sul Sea Park. Poi restano le inchieste ancora in fase di proroga, da quella sulla variante per piazza della Libertà all’altra per corruzione, che verte su un finanziamento da parte del pastificio Amato alla campagna delle ultime regionali.

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