Il RICORDO

Dario Fo e Salerno, storia che si abbraccia al dileggio del potere

Negli anni Settanta era ospite del circolo della Comune per mettere la sua arte al servizio dei più deboli

Diceva Bergson che la comicità esiste quando c’è qualcosa di sconosciuto a se stessi. È questa zona oscura, ignota che fa di un artista un comico. Quando nel ’97 fu assegnato a Dario Fo il Nobel per la letteratura, furono in molti a storcere il naso, compresa la spocchiosa intellighenzia di sinistra. Molti vedevano in Fo un attore, per non dire un guitto, che aveva legato il suo teatro, in qualche modo abbassandolo, all’impegno e alla militanza, scendendo in campo a fianco degli anarchici, degli antifascisti, delle vittime del potere.

Uno che si sporcava le mani e si buttava nel mucchio selvaggio non meritava certo un così alto e prestigioso riconoscimento. Come al solito gli italiani non avevano capito nulla. Il compagno delle lotte degli anni Settanta, che veniva anche nella piccola Salerno nel circolo della Comune presieduto da Mario Giordano (che da allora fu per sempre per gli amici e per tutti “il Presidente”), quel premio se lo era guadagnato tutto intero proprio perché, «seguendo la tradizione dei giullari medievali, dileggia il potere restituendo la dignità agli oppressi».

Aveva insomma messo la sua arte sublime, il suo sberleffo geniale, al servizio dei più deboli e per questo veniva chiamato in lungo e in largodalle tante Comuni che erano nate nel paese che con i suoi spettacoli raccoglievano fondi per Soccorso rosso, per azioni legali o sostegni vari a favore dei “compagni”.

L’aveva fondato Franca Rame in sostegno a molti giovani, studenti e operai arrestati durante i picchetti alle fabbriche o davanti alle scuole, durante le manifestazioni antifasciste e i tanti scontri che in quel periodo erano all’ordine del giorno. Come avvenne per il caso di Giovanni Marini, il giovane anarchico che a Salerno in uno di questi scontri aveva ucciso Carlo Falvella.

E gli anarchici, come Valpreda, come Pinelli, gli stavano particolarmente a cuore. Dopo il fatto che costò la vita a Falvella e una condanna a dodici anni a Marini, Soccorso Rosso organizzò una campagna in sostegno dell’anarchico salernitano e venne elaborato il documento “Il caso Marini” e con Fo si schierarono altri intellettuali come Pio Baldelli, Giulio Savelli, Giuliano Spazzali.

Del resto sugli scontri con i fascisti e con la polizia Dario aveva scritto tantissimi testi teatrali rappresentati in tutto il mondo che attiravano folle entusiaste di militanti spesso circondati dai cellulari dei questurini agli ingressi e gli organizzatori rischiavano ogni volta denunce o arresti. Chiamati dal Circolo La Comune si rappresentarono i suoi lavori più noti all’Augusteo, al Modernissimo e in altri spazi, “Morte accidentale di un anarchico” o “Pum pum chi è la polizia” e insieme si organizzavano manifestazioni come per il golpe cileno. E in questi raduni, Dario Fo era capace di farti ridere fino alle lacrime dissacrando acute ferite italiane come il volo di Pinelli dai locali della questura di Milano, le stragi di piazza Fontana o dileggiando senza pietà gli uomini della Democrazia cristiana. Era la cronaca dei nostri giorni trasfigurata dalla lente del teatro; erano quei misteri non proprio buffi del nostro paese su cui costruiva i suoi grammelot, un linguaggio speciale che discendeva dai nobili lombi di un Ruzante o dalle parlate povere dei contadini padani.

E tutti prima o poi venivano passati per le “armi” dello sghignazzo, Fanfani piccolo e deforme con i piedi in primo piano; Wojtyla che volteggiava sulla neve, Andreotti, Berlusconi. Tutte le vicende politiche italiane hanno visto Fo, insieme con Franca Rame, recitare nelle piazze, nelle fabbriche, nelle case del popolo, senza mai retrocedere di un passo, spesso pagando queste posizioni a duro prezzo, come lo stupro alla Rame, la cacciata dalla Rai, il mancato visto negli Stati Uniti e inoltre processi, querele, intimidazioni.

Una storia che è durata fino ai nostri giorni con l’ultima battaglia insieme con il Movimento 5 Stelle e al collega comico Beppe Grillo, giullari che da secoli usano l’arte del riso, quella della “parte oscura”, contro il potere.

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