Dalla genetica le risposte per combattere il cancro 

All’Università di Salerno l’incontro con il noto patologo Alessandro Weisz Il docente coordina gli studi per prevenire e curare il tumore alla mammella

Nel 2017, in Italia, a 65.800 donne è stato diagnosticato un tumore alla mammella o agli organi riproduttivi. Il cancro al seno è il più diffuso: si stima che ne resti colpita una donna su 8, nell’arco della vita. Tuttavia, è la patologia per la quale, negli ultimi due decenni, la ricerca ha ottenuto i migliori risultati, portando la sopravvivenza a crescere dall’81% all’87%, a cinque anni dalla diagnosi. Un traguardo importante, ma ancora lontano dall’obiettivo del 100%. Superare la resistenza ai trattamenti e personalizzare la terapia delle pazienti colpite da tumore al seno è l’impegno di Alessandro Weisz, docente di Patologia generale all’Università di Salerno e coordinatore dell’equipe salernitana – tra i 5.000 scienziati finanziati dall’Associazione italiana per la ricerca sul cancro – che opera nel laboratorio di Medicina molecolare e genomica, per la ricerca sul carcinoma mammario.
Com’è iniziata la sua collaborazione con AIRC, come referente della ricerca all’Università di Salerno?
Oncologo di estrazione, nell’ambito della ricerca all’Unisa, seguo l’oncogenomica, branca della medicina che si interessa di raccogliere informazioni sulle cellule tumorali e sui loro comportamenti. In particolare, la ricerca verte sui fuochi di attacco per poter prevenire e curare il tumore della mammella. Da qui nasce il riferimento alla campagna AIRC.
Quali sono i progressi della ricerca sul tumore al seno, messi in campo all’Unisa?
Pur riuscendo ad agire efficacemente con la terapia, il problema del tumore alla mammella è che, a causa dell’elevata frequenza, ne rimane una frazione molto significativa, difficile da controllare dal punto di vista farmacologico e di prognosi. Nello specifico, resta molto da fare per il sottogruppo definito tumore triplo negativo, che colpisce soprattutto in giovane età, e per il carcinoma mammario metastatico, che oggi interessa circa 36.000 donne alle quali è necessario garantire una qualità di vita sempre migliore, con terapie specifiche. La ricerca, adesso, è focalizzata a sviluppare nuovi strumenti e nuove armi contro il tumore triplo negativo, le cui cellule non risultano sensibili ai cosiddetti farmaci a bersaglio molecolare. Nel corso degli ultimi anni, tuttavia, abbiamo rilevato un gene oncosoppressore (ESR2) ancora presente, capace di combattere l’insorgenza di tumori, insieme all’esistenza di farmaci, già in uso, che possono attivarlo. A tal proposito, AIRC ha finanziato un progetto, grazie al quale abbiamo identificato i meccanismi partner cellulari con cui questo gene funziona. La seconda fase prevede di entrare nel grande dettaglio, cercando di definire, con esattezza, come questo farmaco agisce.
Lavorate pure su altro?
Sì, anche sulla resistenza acquisita alle terapie endocrine – utile in circa il 70% dei casi – che sviluppa dei meccanismi di sopravvivenza, che determinano una ricaduta del tumore dopo un certo numero di anni dall’operazione, con la comparsa di metastasi ad altri organi. Osservando cosa avviene nei tumori quando somministriamo un farmaco, generalmente usato nel trattamento di una forma rara di leucemia, abbiamo scoperto ci sia un gene, definito epigenetico, che diventa un regolatore generale della funzione cellulare. Da studi approfonditi, abbiamo visto che può essere bloccata con effetti sorprendenti sul comportamento del tumore. È questa la nuova frontiera della terapia contro il cancro.
Quanto contano le iniziative portate avanti da AIRC per finanziare la ricerca?
Le applicazioni all’oncogenomica, in ambito medico, sono tantissime. Le campagne contro il cancro possono espandere molto la ricerca sul genoma tumorale, pertanto, il lavoro portato avanti da AIRC è da considerarsi fondamentale. Se i cittadini donano, AIRC può farsi garante di un progetto valido, approvato da un team di esperti a livello nazionale, che viene finanziato per essere seguito, dall’inizio alla fine. Ad AIRC, che ha sostenuto il primo progetto per l’Unisa, abbiamo proposto di concretizzare questo nuovo ponte, per i prossimi anni. Siamo molto ottimisti, ma abbiamo bisogno di supporto come ricercatori. Il cammino è lungo, ma stiamo lavorando in equipe, strenuamente, facendo grandi passi avanti.
Rosita Sosto Archimio
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