Dalla condanna al caos Così è implosa la Regione

Tutto inizia dal processo per abuso d’ufficio sull’iter del termovalorizzatore Sospetti e polemiche già sul primo decreto cautelare emesso dal Tar

SALERNO. «La sospensione riguardante De Luca comporterebbe la lesione irreversibile del suo diritto soggettivo all’elettorato passivo, posto il limite temporale del mandato elettivo»; un danno «non riparabile né risarcibile», che «impone pertanto, in attesa della decisione della Corte costituzionale, la sospensione cautelativa del provvedimento sospensivo del presidente del Consiglio dei ministri». È il 22 luglio 2015, e la prima sezione civile del Tribunale di Napoli (relatrice Anna Scognamiglio) spiega così le ragioni per cui decide di accogliere il ricorso d’urgenza presentato dal presidente della Regione. La questione di costituzionalità posta dal ricorrente, spiegano i giudici, «non è manifestamente infondata», quindi gli atti vanno rimessi alla Consulta e, nel frattempo, la posta in gioco è così alta che la sospensione va messa in naftalina finché la Corte non dica se la legge Severino è sì o no costituzionale. È il provvedimento che consente a Vincenzo De Luca di rimanere in sella. Lo stesso su cui adesso la poltrona di “governatore” vacilla come sul filo di un funambolo.

Ma partiamo dall’inizio. È il 21 gennaio quando tutto comincia, e stavolta lo scenario è quello di un’aula penale del Tribunale di Salerno. Per De Luca arriva la condanna a un anno per abuso d’ufficio; la pena è sospesa (al pari dell’interdizione dai pubblici uffici) ma scatta l’applicazione della legge voluta dall’ex ministro Paola Severino, che per diciotto mesi lo sospende dalla carica di sindaco. I giudici gli hanno contestato di aver conferito ad Alberto Di Lorenzo (anche in quel caso un capo staff) un incarico di project manager non previsto dalla normativa, perché seguisse il progetto de termovalorizzatore cittadino. «Si è coniata la nuova fattispecie del reato linguistico» tuona subito De Luca. E intanto fa partire la controffensiva legale. Il primo round segna un punto a favore: il 26 gennaio, con una decisione lampo, la sezione salernitana del Tar accoglie il ricorso e blocca l’efficacia del decreto prefettizio di sospensione. Una decisione accompagnata anch’essa dalle polemiche, perché qualcuno ricorda che l’estensore del decreto cautelare, il giudice Amedeo Urbano, aveva espresso pubblicamente in un convegno, sei mesi prima, il suo apprezzamento per l’amministrazione deluchiana. A far passare in secondo piano i sospetti ci pensa il 22 marzo la Procura generale della Corte di Cassazione, secondo cui la materia – trattandosi di diritti soggettivi – non è di competenza del Tribunale amministrativo ma del giudice ordinario. La Suprema Corte decide in questo senso e la patata bollente passa così al Tribunale civile.

In mezzo ci sono le elezioni regionali: De Luca cede a Vincenzo Napoli la fascia di primo cittadino e si candida a presidente della Campania, dopo un braccio di ferro con i vertici del Pd che questo imbarazzo se lo sarebbero evitato volentieri. Sta di fatto che il “podestà” di Salerno, come qualche compagno di partito lo bolla, si candida e vince. Il 26 giugno, dopo molte pressioni e un temporeggiamento che consente al governatore di comporre la giunta, il premier Matteo Renzi firma il decreto che lo sospende dall’incarico in attuazione della legge Severino. A quel punto la competenza è ormai del giudice civile di Napoli, e così si arriva a quel 22 luglio quando il collegio (presidente Umberto Antico, relatore Anna Scognamiglio) “sospende la sospensione” e manda gli atti alla Corte costituzionale.

Su De Luca la Consulta non si è ancora pronunciata, anche se il rigetto del ricorso presentato dal sindaco di Napoli Luigi de Magistris lascia immaginare un provvedimento analogo anche per il presidente della giunta regionale. Intanto i giudici civili avevano fissato al 20 novembre il giudizio di merito, in previsione di una pronuncia costituzionale; e un altro appuntamento che sull’agenda di De Luca è segnato in rosso è quello dell’11 dicembre, quando a Salerno inizierà il processo penale d’appello in cui il pm Roberto Penna chiede una condanna a tre anni per peculato. Ma persino questo, adesso, passa in secondo piano.

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