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Dalla cella alla chiesa: «Io così sono rinato»

Droga, rapine e 22 anni di carcere. Ora è assistente del parroco

SALA CONSILINA. Tornare a vivere nella legalità si può, basta volerlo. Dal baratro della droga, passando per diverse carceri della Campania fino a rinascere nella chiesa di Santo Stefano di Sala Consilina dove per quattro ore al giorno dà una mano al parroco Don Elia come assistente.

Sono queste le tappe del viaggio di Michele Brescia, 40 anni, di Sala Consilina che ha deciso di raccontarsi e raccontare gli errori che negli ultimi 22 anni lo hanno fatto finire in carcere tantissime volte, per reati legati soprattutto alle sostanze stupefacenti e ad alcune rapine compiute per procurarsi i soldi necessari per poter acquistare la droga.

La storia di Michele – che proprio questo mese finirà di scontare l’ultima condanna per diventare finalmente libero da ogni obbligo con l’Autorità giudiziaria e carceraria – è soprattutto una storia di speranza; una storia che serve a far capire come, una volta toccato il fondo, con l’aiuto della forza di volontà e della fede, si possa risalire la china e riabilitarsi.

Michele oggi è un uomo nuovo. E questo è stato possibile grazie anche a strutture carcerarie dove ai detenuti viene data la possibilità di poter studiare e apprendere in modo concreto un mestiere, qualcosa che serva davvero quando, pagato il debito con la giustizia, si torna liberi, tra la gente.

Incontriamo Michele nella chiesa di Santo Stefano, nel cuore del centro storico di Sala Consilina, una delle chiese più belle della città. Ha da poco finito di rassettare e mettere in ordine prima della messa. Siede su una panca e guarda verso l’altare. «Tutto in ordine», dice soddisfatto. E comincia così il suo racconto: «Di errori ne ho fatti tanti, ma dal 2008 ho chiuso con tutto – sottolinea con decisione e con un pizzico di orgoglio – e se penso ai miei ultimi venti anni di vita, la metà li ho vissuti tra carcere e arresti domiciliari. Mi vergogno per quello che ho fatto e in questo tempo ho preso coscienza del male fatto agli altri e anche a me stesso».

Lo spaccio e l’arresto. «Tutto è iniziato quando avevo 16 anni, insieme ad altri miei amici abbiamo cominciato a spacciare droghe leggere perché ci siamo resi conto che si riusciva a guadagnare denaro facilmente e da allora è stato l’inizio della fine perché oltre a spacciare ho iniziato a fare anche uso di sostanze stupefacenti e la dipendenza mi ha portato a commettere anche altri reati perché avevo bisogno di soldi per poter acquistare la droga».

Michele l’ha fatta franca fino al 1994, aveva compiuto 18 anni da poco quando venne coinvolto in una operazione antidroga e finì per la prima volta dietro le sbarre. «Il primo impatto con il carcere è stato devastante per me. Mi hanno arrestato, portato e in caserma e poi nel carcere di Sala Consilina. Non dimenticherò mai il suono metallico dei cancelli che si chiudevano alle mie spalle man mano che mi avvicinavo alla mia cella, che ho condiviso per lungo tempo con altri 11 detenuti. Quando sono entrato e ho sentito le mandate della serratura che chiudeva la porta di ferro la prima cosa che ho pensato è stata: ma chi me lo ha fatto fare? E adesso quando uscirò?».

Il demone della droga. Nel suo racconto Michele ricorda anche i suoi genitori che da qualche anno non ci sono più. «Ho dato tanti dispiaceri a mia madre ed a mio padre, ma in quegli anni ero posseduto dal demone della droga. Non ero più io, quando al mattino mi svegliavo il mio unico pensiero era quello di organizzare qualcosa per poter fare soldi. A tutto pensavo tranne che a lavorare. Mio padre, giustamente, è stato sempre molto duro con me e non mi ha mai difeso. Mi diceva sempre che il carcere era la giusta punizione per quello che facevo e più volte ha minacciato anche di denunciarmi se non avessi smesso di delinquere. In carcere per anni non è mai venuto a trovarmi, lo ha fatto solo quando mia madre si è ammalata ed è stata lei a convincerlo perché venisse a trovarmi. Non dimenticherò mai invece quando, dopo essere stato arrestato per la prima volta mia madre venne a trovarmi. Appena entrai nella sala colloqui lei non disse niente, mi diede soltanto uno schiaffo con tutta la sua forza e porto ancora nel cuore il dolore di quel ceffone che purtroppo all’epoca servì a ben poco».

Il giro nelle carceri. Michele fino al 2012 ha girato diverse carceri della Campania. Dopo Sala Consilina è stato recluso a Sant’Angelo dei Lombardi, Secondigliano e all’Istituto di Custodia Attenuata di Eboli. «In carcere finisci di rovinarti solo se sei tu a volerlo – racconta – altrimenti se hai la volontà quello può diventare un punto di partenza per la rinascita e così per me è stato. Secondigliano è un inferno invece un carcere che non umilia e anzi favorisce il reinserimento è quello di Sant’Angelo dei Lombardi in provincia di Avellino dove ho avuto la possibilità di imparare un mestiere lavorando in tipografia. Eravamo in 20 e tra i tanti lavori realizzati ci sono anche i calendari ufficiali della Polizia Penitenziaria. Lì mi sono anche riavvicinato alla fede frequentando la chiesa presente nel penitenziario e questo è servito ancora di più a farmi capire gli errori commessi». Ci sono state anche diverse persone che in questi anni hanno teso la mano a Michele per aiutarlo a rialzarsi. «Sarò per sempre grato a Pinuccio Lamura, un imprenditore di Sala Consilina, scomparso da poco, e a sua figlia Carol che hanno dato la disponibilità a farmi lavorare presso la loro azienda per circa tre anni come misura alternativa alla detenzione. Mi sono stati sempre vicini, anche quando, mentre lavoravo da loro, sono finito di nuovo in carcere. Non mi hanno fatto mancare mai nulla e tutte le volte che ho avuto bisogno di un sostegno economico non si sono mai tirati indietro».

L’incontro col parroco. A tendere una mano a Michele è stato anche il parroco di Santo Stefano e con lui monsignor Antonio De Luca, vescovo della diocesi di Teggiano - Policastro che, insieme al Piano Sociale di Zona, gli hanno dato la possibilità di continuare in parrocchia il suo percorso di ritorno alla vita. Ed infine c’è zia Gerarda e la sua famiglia che da febbraio dello scorso anno lo hanno accolto in casa come un figliuol prodigo che, dopo essersi reso conto degli errori e del male fatto, ha chiesto perdono ed ha ricominciato la sua nuova vita grazie al respiro della speranza che, con l’aiuto indispensabile della sua fede, non è stato mai soffocato in questi anni. Sorride Michele e si apparta in preghiera. Tra poco inizia la messa.

 

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