Dagli operai ai ricercatori I talenti che se ne vanno

Hanno tentato la sorte per scelta o necessità, ma adesso non vogliono tornare Gianluca Fortunato fabbro in Australia: «Qui un futuro migliore per mio figlio»

Tornare? Macché. Se lo domandi ai salernitani che il lavoro se lo sono cercato all’estero, la risposta è che mancano gli affetti, quelli sì, ma che tornare indietro sarebbe un salto nel vuoto più rischioso di quello con cui sono emigrati. E l’idea è trasversale, che si parli di operai, imprenditori, parrucchieri o medici al top della ricerca mondiale. Gianluca Fortunato se n’è andato che aveva già 36 anni, nel 2012, dopo aver lavorato dieci anni all’Ideal Clima. Quando la fabbrica ha chiuso i battenti lui ha trovato impiego nel settore della lavorazione del ferro, ma non era quello che cercava. «Mi hanno detto che in Australia, con le mie competenze di fabbro, avrei avuto opportunità di trovare un buon lavoro e così è stato – racconta – Prima sono andato per un mese per valutare se ne valesse la pena, cosa che ho capito già dopo una settimana, poi ho sistemato le ultime faccende a Salerno e ho iniziato la mia nuova vita». Dopo due anni non se ne pente: «Lo rifarei senza pensarci due volte. Certo all’inizio non è facile, perché richiede una cambiamento radicale a partire dalla lingua e dallo stile di vita, ma qui ho visto un futuro migliore per mio figlio».

Le sponde salernitane Amedeo D’Ambrosio le lasciate invece per quelle della Romania, dove è arrivato come dipendente e ora ha un call center tutto suo, che dà lavoro a duecento persone tra cui una decina di italiani. «Nel 2006 un amico mi chiese di aiutarlo qui in Romania, dove lavorava per un call center che operava in lingua Italiana verso l’Italia. Accettai, lui fu licenziato dopo un mese mentre io rimasi per circa due anni. Quando ebbi il benservito anche io, decisi di aprire in quel campo una mia realtà. Visto il bagaglio di esperienze fatte all’estero in ambito cooperativo (soprattutto in Sudamerica) la chiamai Open Mind». Aprire i battenti non è stato difficile: «L’impatto con la burocrazia è molto semplice: hai un’idea e apri una srl in 4 o 5 giorni, con costi per noi inimmaginabili. Una volta operativi, abbiamo cercato clienti e iniziato l’attività assumendo il personale». Se gli si chiede se immagina di tornare risponde con una battuta: «Sì, per mangiare pesce e bere vino sì, ogni estate. E per la famiglia, ovviamente. Per il resto direi che non ne vale la pena».

A conti fatti non se la sente neanche Fabio Alfano, partito da apprendista parrucchiere dal salone del padre a Giffoni Valle Piana e ora presidente a Tokyo di una società di hair stylist. “Sin Den” è oggi un brand e un salone con un team di 12 persone e una clientela internazionale di prestigio, . In Giappone Alfano ci è arrivato nel 2006, dopo esperienze a Firenze, Bologna e Londra. Ora guida la stessa società che lo aveva chiamato come dipendente e spiega che dopo anni all’estero riadattarsi in Italia non sarebbe facile: «Il mio lavoro mi permette di vivere una vita molto internazionale – spiega – e soprattutto penso alle mie figlie, sperando di dare a loro più possibilità. Tokyo è una città che offre tanto, non solo lavorativamente. È una metropoli viva e anche molto caotica, ma è facile viverci».

Chi un pensiero a rientrare («Ma a Milano, l’unica città europea che abbiamo in Italia») è Angela Cioffi, medico e ricercatrice nel settore oncologico. Adesso però è lei a dettare le condizioni a un Paese che ora la corteggia, ma prima non aveva spazio. «Ho trascorso a Parigi l’ultima fase della specializzazione, avevo intenzione di tornare a vedere cosa offriva l’Italia ma qui ho trovato solo borse di studio o dottorati non pagati. Lì, invece, mi avevano già messo a lavorare, l’ambiente scientifico era stimolante e sono rimasta». È diventata responsabile del day hospital oncologico, ma non si è fermata. Dalla Francia il lavoro l’ha portata più volte a New York, per partecipare a un progetto di ricerca sui sarcomi. «Per me la ricerca è fondamentale – spiega – e lì ho trovato un livello altissimo». Quando il leader del progetto va via per altri impegni le propone di sostituirlo e lei lascia Parigi per gli Stati Uniti. Tornerà in Francia dopo quattro anni, per avvicinarsi alla famiglia. E per la stessa ragione guarda ora all’Ieo di Milano (l’Istituto europeo oncologico) per un progetto di ricerca su sarcomi e tumori rari. Le hanno offerto un contratto a tempo indeterminato, ma si sono visti opporre un rifiuto: «Per ora scelgo un contratto di tre mesi e mi tengo tutte le porte aperte – spiega – Qui da noi i vecchi non hanno voglia di cambiare e i giovani restano in disparte». ©RIPRODUZIONE RISERVATA