IL VIAGGIO

Da Salerno a Tunisi sulle rotte identitarie della vera ceramica

VITO PINTO. È stato un viaggio sulle rotte mediterranee, alla ricerca di identità ceramiche altrui. Un viaggio con la ritrovata voglia di “vie del mare” che possano, come una volta, unire e non...

VITO PINTO. È stato un viaggio sulle rotte mediterranee, alla ricerca di identità ceramiche altrui. Un viaggio con la ritrovata voglia di “vie del mare” che possano, come una volta, unire e non dividere i popoli che si affacciano sullo storico “mare nostrum”.

Protagonisti della ricerca Antonio Dura e Claudia Bonasi, partiti dalla pluricentenaria identità ceramica vietrese e approdati in Tunisia, dove convivono botteghe d’arte ceramica, fabbriche di terrecotte e autonome, povere produzioni di quegli utensili di casa, con i quali le donne del popolo nomade dei Berberi vivono la loro quotidianità.

Prima tappa Tunisi, dove è la bottega di Ben Slimane Hedi, 68 anni, l’ultimo artigiano della Medina, il cuore della città e vincitore del premio vietrese “Viaggio attraverso la ceramica”. Con i suoi operai, dipinge fiori, motivi geometrici, uccelli, pesci con i colori della loro tradizione: giallo, blu, verde. La mente ritorna alle botteghe vietresi dove ci sono gli stessi colori, il pesce presente da sempre con le sue scaglie sovrapposte come le scandole delle cupole delle chiese. E poi c’è Ali Shammakhi, artigiano, ma anche collezionista, che vorrebbe degli scambi culturali con i ceramisti mediterranei.

Si procede nel viaggio ed è Moknine, città ricca di argilla e sale, miscelati nella produzione di terrecotte: sono un centinaio le fabbriche che producono giare, anfore, vasi per il mercato italiano e tedesco. Qui lavorano Abdel Alì e suo figlio, ultimi di una centenaria dinastia di cretari. E terracotta si produce anche a Guellala, sull’isola di Djerba: pezzi di giare rotte che fungono da bocche di sfiato dei forni, sormontano le fabbriche. A Djerba si incontra Fathi Sakal: «Ho iniziato a 16 anni - dice - la mia famiglia fa questo mestiere da 11 generazioni». Fathi lavora l’argilla ancora coi piedi per togliere ogni impurità: il cuore ritorna a purezze di culture ceramiche. Il viaggio continua per Medenine dove c’è il museo di Salmouk Fathi, poi è la volta di Nabeul, città della ceramica per eccellenza; qui si producono mattonelle dai colori e decori che sembrano usciti da uno dei cataloghi di produzione salernitana. Assicurano che sono disegni della tradizione locale. Infine si giunge a Sejnane, città dove c’è la terracotta berbera, quella che le donne modellano con velocità e che cuociono su piccoli fuochi nel cortile di casa.

Un viaggio lungo, ricco di interessi; intanto si caricano in auto oggetti delle varie produzioni. Così, ritornati a Salerno, nel suggestivo spazio dell’arco catalano a Palazzo Pinto, nel cuore della città, si mettono in mostra quei manufatti di vari generi, dai vasi ai piatti da noi chiamati “da pompa”, ma che in realtà richiamano i caponcelli presenti nel campionario della “robba siciliana”. E ancora coppe, piastrelle, pentole berbere di terracotta, persino un pavimento vissuto. Lo sguardo spazia sui manufatti di altre terre, di altrui culture e si resta stupiti: sembra essere nei luoghi noti delle nostre botteghe, presenti con Daria Scotto e Danilo Mariani, Carmine Sorrentino e Maria Rosaria D’Alessandro, dove il nero, il giallo, il verde ramina, il blu, quello chiamato dagli arabi “zafra”, sono di casa, insieme a quei decori a quadretti blu, al geometrico intrecciato, ai fiori, ai pesci, così cari alla tradizione salernitana. E c’è una coppetta con decoro a spirali incrociate, come quella del XII secolo presente nel Museo della Badia di Cava: memorie storiche rimandano ad antichi scambi commerciali e culturali della Badia cavense e della Repubblica di Amalfi.