«D’Onofrio era in affari con la camorra»

Il Riesame inchioda l’esponente politico di Pagani: «Ha usato il Consorzio di Bacino per ricattare Salvatore Bottone»

PAGANI. Un sistema criminale saldo costruito tra politici e camorristi, intrecciati in una connection che ripropone l’assunto della procura antimafia su Pagani.

A dispetto anche di precedenti pronunce giudiziarie. Lo scrive il tribunale del Riesame sulla base dell’imponente mole di elementi agli atti, nelle motivazioni del rigetto della richiesta di revoca dell’obbligo di firma per il consigliere comunale Massimo D’Onofrio, numero due di Alberico Gambino, elemento cardine della scacchiera politico-camorristica. L’esempio, solo uno tra i tanti riportati dai giudici, arriva con la ritorsione di D’Onofrio contro Salvatore Bottone, facendo emettere al consorzio di Bacino una fattura da sette milioni di euro, riferita con una telefonata a Michele D’Auria. «Si era tentato chiaramente di mettere in difficoltà un avversario politico del Gambino – scrive il Riesame, smontando la difesa di D’Onofrio, che riconduceva la decisione ad una difesa della comunità. L’episodio per i giudici porta a tre conclusioni: «Michele D’Auria era l’effettivo gestore del consorzio di bacino. Massimo D’Onofrio si muoveva nell’interesse del Gambino, era una cosa sola, come riferiva il collaboratore Sandro Contaldo, i due erano a loro volta in combutta con il D’Auria e il suo sistema camorristico». Il ruolo di D’Onofrio per il riesame è stato fondamentale.

«Alla consorteria criminale sono state garantite le migliori condizioni di operatività per la gestione dei parcheggi e dei rifiuti. Il D’Onofrio ha finito per accompagnare e sorreggere l’operato di Gambino. Basti pensare agli introiti dei parcheggi e alle assunzioni di associati e parenti». La conclusione del tribunale non può, per questo, che disporre la conferma della misura. Con u passaggio che è agghiacciante per la cosa pubblica paganese.

«La risposta cautelare data dal gip è risultata improntata già a larga benevolenza, perché un simile modo di concepire la propria funzione pubblica rivela la pericolosità del suo autore il quale pone in essere condotte che non sono solo disinvolte, ma s illecite. Con franchezza, sono ancora più riprovevoli sul piano etico e censurabili su quello giuridico di quelle dei camorristi, che tendono ad agevolare perché almeno questi non hanno ricevuto alcun pubblico mandato che in tal modo tradiscono».

Perché i camorristi sono contro le istituzioni e si avvalgono di chi dovrebbe difenderle, cioè i politici. «Chi è stato chiamato dal popolo a farne parte, e tradisce il giuramento di fedeltà e opera per consegnare alla criminalità organizzata intere fette della società civile, uccidendo ogni speranza di legalità e di futuro delle generazioni oneste».

Alfonso T. Guerritore

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