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«D’Auria mi chiese di picchiare Gambino»

Al processo Aziz ritenuti validi i verbali del pentito Salvatore Fezza che aveva ritrattato

PAGANI. Aveva deciso di collaborare con la giustizia rivelando i segreti del clan Fezza-D’Auria Petrosino, il giovane Salvatore Fezza, figlio del boss Tommaso, alias ’o furmaggiaro. Poi ci aveva ripensato. Il 2 aprile 2011 riferì quanto a sua conoscenza in un primo verbale. Per poi rimangiarsi tutto, confermando l’intenzione al banco dei testimoni del processo per l’omicidio Aziz. L’ergastolo ai tre assassini del tunisino, come spiegano le recenti motivazioni depositate dalla corte, hanno utilizzato anche il verbale del 2 aprile, quello rinnegato dal giovane Fezza e comunque finito agli atti “per intimidazioni e gravi tentativi di condizionamento”.

Dopo il dietro-front, Salvatore Fezza riempì anche un altro verbale, datato 13 maggio 2001. E proprio quest’ultimo è stato acquisito agli atti del processo contro Gioacchino Petrosino D’Auria alias “spara spara” e il figlio Antonio per l’estorsione e il sequestro di Maurizio De Ruvo, ’o lupin. Si tratta di documenti utilizzabili al dibattimento, articolate dichiarazioni su vari argomenti, compreso quello al centro delle indagini della procura distrettuale, dei rapporti tra politica e camorra a Pagani.

Perché Antonio Petrosino D’Auria, per i magistrati capo del clan della Lamia da diversi anni, col fratello Michele è sotto processo al tribunale di Nocera Inferiore insieme all’ex sindaco di Pagani Alberico Gambino. E il giovane Fezza riferisce su uno strano episodio che mette insieme proprio Antonio Petrosino e il sindaco Gambino. «Antonio D'Auria Petrosino - riferisce Salvatore Fezza- nel 2006-2007 mi chiese di picchiare Gambino. Poiché non ero d’accordo a picchiare il sindaco, ricordo che lui poi voleva farlo picchiare da un albanese a cui aveva promesso 500 euro. D’Auria – aggiunge il pentito - aveva intenzione di far inscenare all’albanese una ritorsione nei confronti del sindaco per una mancata assunzione».

E ancora Fezza riferisce del fratello di Antonio Petrosino. «Michele aveva dei rapporti con un esponente dell’amministrazione di Pagani, oltre che con un politico che lo aveva fatto trasferire dal bacino di Roccapiemonte al comune di Pagani facendogli ottenere una promozione, e anche con un altro di cui non ricordo il nome e per il quale Michele D’Auria gli ha fatto anche la propaganda elettorale».

Fezza parla anche del clan, di fatti delittuosi gravi, di carabinieri infedeli, di armi e soffiate. Fino ad affrontare la questione del ripensamento. «Allora, ricapitoliamo un attimo – chiede il magistrato antimafia Maurizio Cardea - lei l’altra volta ha detto che aveva deciso di collaborare con la giustizia, mentre prima che cosa era successo che l’aveva impedito?». «Mentre prima avevo un po’ timore di collaborare - risponde Fezza - non sapendo la prassi come andava, non in senso legale, ma timore delle persone attualmente ancora libere, che potevano ritorsioni sulla mia famiglia». «A chi si riferisce?». «Ad Antonio D’Auria e i suoi affiliati». Salvatore Fezza ritrattò e spiegò confusamente ai giudici della Corte d’Assise di non essersi sentito bene. Ma le sue dichiarazioni furono acquisite. Queste altre sono già agli atti del processo De Ruvo. Nulla esclude a questo punto un iter simile al processo Linea d’ombra.(a.t.g.)

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