Vincenzo De Luca

LA SENTENZA

Crescent: Vincenzo De Luca assolto, Regione Campania salva

Non scatta la sospensione di 18 mesi per effetto della legge Severino. Con lui scagionati anche altri 21 imputati

SALERNO - Quasi quattro anni di processo, 57 udienze, migliaia di pagine di consulenze tecniche e un batti e ribatti di sequestri e dissequestri: tutto si è concluso alle 23.10 di ieri, quando il tribunale ha pronunciato la sentenza che assolve tutti i 22 imputati del processo Crescent. Assolti con formula piena dall’accusa di abuso d’ufficio (che in caso di condanna avrebbe fatto scattare la sospensione dagli incarichi elettivi) il presidente della Regione Vincenzo De Luca, gli assessori ed ex assessori che approvarono i provvedimenti urbanistici, i tecnici, i costruttori Rocco Chechile ed Eugenio Rainone, gli ex soprintendenti Giuseppe Zampino e Anna Maria Affanni e il funzionario Giovanni Villani. È stato invece dichiarato il non doversi procedere per intervenuta prescrizione per le ipotesi di falso, addebitate a De Luca e Zampino. Infine l’assoluzione piena dalle accuse di violazioni edilizie e urbanistiche, che fa venir meno lo spettro della confisca dell’immobile. Di tutto l’impianto accusatorio resta soltanto la dichiarazione di falsità di una nota con cui la Soprintendenza sosteneva di non aver ricevuto dalla Direzione regionale alcun riscontro alla richiesta di parere.

Il processo “politico”. La sentenza pronunciata dal presidente Vincenzo Siani (a latere Ennio Trivelli e Antonio Cantillo) arriva dopo quasi otto ore di camera di consiglio e un’ultima udienza tenuta in mattinata, per le repliche dei pubblici ministeri e le controrepliche delle difese. Sono le 10 quando l’accusa prende per l’ultima volta la parola, e meno di novanta minuti bastano ai pm per replicare alle arringhe e, in particolare, alle dichiarazioni spontanee di Vincenzo De Luca, che il 20 luglio aveva accusato la Procura di aver tentato «di forzare la realtà per farla entrare nello schema accusatorio». «Non è mai stato fatto un processo politico » mette subito in chiaro il pm Rocco Alfano. E aggiunge: «L’ufficio della Procura non è stato influenzato né dalla fretta né dalla voglia di fare altre cose, tiene solo al rispetto delle leggi. Piuttosto abbiano assistito all’ingresso nel processo di cose metaprocessuali. Per quanto riguarda noi, tutto ciò che è entrato ha a che fare con i fatti». Gli fa eco Oreste Agosto, avvocato di parte civile per il comitato “No Crescent”: «Questo non è assolutamente un processo politico, come si tenta di insinuare. È un processo di legalità, di rispetto per le leggi dello Stato». A ribattere sul punto è l’avvocato Paolo Carbone, che assiste De Luca: «Non abbiamo mai parlato di processo politico (era stato il codifensore Andrea Castaldo a tuonare a luglio su “fumus persecutionis” e “caccia alle streghe” ndr) . Di politico, e di etico, c’è la scelta fatta da De Luca di venire in aula e rivendicare con fierezza il suo operato. Qui si sta sottovalutando il dato più saliente: la visione politica per la riqualificazione di quell’area»

L’accusa di falso. Il resto della mattinata si snoda, fino alle 15.15, nel botta e risposta sulle fondamenta dei capi d’imputazione. Il falso, innanzitutto, di cui De Luca rispondeva per le attestazioni nella fase di sdemanializzazione dell’area: «Il falso è proprio in quello che l’imputato è venuto a dire qui – incalza Alfano – Ha sostenuto che l’area fosse interamente urbanizzata. L’equivoco, voluto, è nel non tenere conto che il requisito richiesto dalla legge non è la generica urbanizzazione ma la realizzazione, da parte del Comune, di specifiche opere indicate dalle norme». Falsa, secondo la Procura, sarebbe stata anche l’attestazionedell’interesse pubblico dell’opera: «Fin dall’iniziosi sapeva che ci sarebbe stato l’intervento deiprivati, lo conferma lo stesso De Luca quando dice che il Comune non aveva i 14 milioni necessari per l’intervento urbanistico ». La replica del difensore Castaldo arriva in chiusura dell’udienza: «Non si può dire che De Luca abbia attestato il falso, ha detto che l’intervento era di interesse pubblico e lo è, ma non ha mai affermato che lo fosse in maniera esclusiva». E ancora: «Ha detto che su quell’area erano state fatte opere di urbanizzazione, non che fossero urbanizzate tutte le particelle».

Gli standard e la piazza. Altro snodo fondamentale, su cui si fondava parte dell’imputazione di abuso d’ufficio, è quello degli standard urbanistici e dei costi per la realizzazione della piazza, accollati al Comune. «Sono state commesse macroscopiche violazioni di legge – accusa il pm Guglielmo Valenti – violazioni che hanno portato a un risultato illegittimo: quello di aver realizzato, laddove era previsto un comparto produttivo, un complesso residenziale privato, senza avere onerato i privati di alcuna opera di urbanizzazione. Qua non si mette in dubbio l’interesse pubblico alla riqualificazione della zona, ma qual è l’interesse pubblico nel trasformare l’area in comparto residenziale privato, nel non pianificare gli standard, nell’aumentare le cubature realizzabili, nel non far fare gli standard ai privati?»,

La Soprintendenza. Sotto accusa c’era anche la procedura di silenzio- assenso con cui la Soprintendenza ha consentito l’edificazione. Il pm Alfano punta i riflettori sulle dichiarazioni rese in aula dall’ex soprintendente Giuseppe Zampino: «Ha detto che se si applicassero alla lettera le norme il risultato sarebbe una sorta di sciopero bianco delle Soprintendenze, già oberate di troppo lavoro. Questo è stato il suo approccio al Crescent; parliamo dell’opera più importante di Salerno e si ha un approccio superficiale, non si applica la norma alla lettera».

Gli assessori. A rispondere di abuso d’ufficio con l’ex sindaco c’erano gli assessori che hanno approvato le delibere sul Crescent. Un’ipotesi di concorso nel reato che ieri è stata contestata ancora una volta da alcuni difensori. «Si è parlato di “sistema”, ma non è stata trattata alcuna posizione soggettiva. Non ho mai sentito il nome del mio assistito» evidenzia Cecchino Cacciatore. Parla di imputato come «grande assente» Alberto Surmonte, e Michele Sarno punta l’indice contro «un eccesso di allargamento delle responsabilità ».

La confisca. Al di là del giudizio sulle responsabilità personali, in ballo c’era il futuro del complesso immobiliare. La Procura ne aveva chiesto la confisca ipotizzando una lottizzazione ritenuta abusiva, ma l’idea dei sigilli è stata ritenuta dai difensori in contrasto con le pronunce della Corte europea. «Dobbiamo confrontarci con lo stato attuale – aggiunge Lorenzo Lentini – Se è stata sancita la conformità come si fa a ipotizzare ancora sanzioni reali?». In tarda serata la sentenza di assoluzione, che passa anche sull’ipotesi della confisca un colpo di spugna.

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