Crac Ifil: a giudizio anche Piero De Luca

Pagati biglietti aerei per 14mila euro. Il primogenito del governatore: «Somme restituite, accuse infondate. Lo dimostrerò»

Sei rinvii a giudizio e due patteggiamenti per il crac dell’immobiliare Ifil. C’è anche Piero De Luca, primogenito del presidente della Campania Vincenzo De Luca tra gli imputati. La decisione è arrivata ieri pomeriggio, dopo che in mattinata c’era stata l’udienza preliminare dinanzi al gup Sergio De Luca del Tribunale di Salerno. Secondo l’accusa De Luca Jr avrebbe sottratto denaro dalle casse della Ifil attraverso l’imprenditore Mario Del Mese, che ha patteggiato la pena di 3 anni e 8 mesi in continuazione, per le spese di alcuni viaggi in Lussemburgo. Anche Vincenzo Lamberti, altro socio e cognato di Del Mese, ha concordato la pena di 1 anno e 6 mesi. Gli altri imputati dovranno difendersi in sede di dibattimento dall’accusa di bancarotta fraudolenta.

La dichiarazione spontanea. Prima della discussione aveva preso la parola Piero De Luca, assistito dagli avvocati Paolo Carbone e Castaldi, per rendere spontanee dichiarazioni. Mezzora circa è durata la sua deposizione durante la quale ha fornito chiarimenti sulla vicenda dei ticktes pagati dalla Ifil. De Luca jr ha spiegato al giudice che quel denaro lo aveva poi restituito, parte versandolo anche in contante, ribadendo la sua «totale estraneità sia soggettiva che oggettiva alla Ifil». Poi era uscito dal tribunale senza fare alcun commento, cosciente del fatto che il giudice si sarebbe pronunciato probabilmente in giornata sul suo eventuale rinvio a giudizio.

Il processo a maggio. Tutta l’attenzione si sposta ora sul processo, il cui inizio è programmato per la fine di maggio dinanzi ai giudici della Prima sezione penale. «In sede di dibattimento avremo finalmente la possibilità di dimostrare in modo sereno, obiettivo e trasparente l’assoluta infondatezza di una contestazione strumentale e inverosimile. Sono profondamente sereno e ho enorme fiducia nel lavoro dei magistrati», così Piero De Luca dopo il suo rinvio a giudizio. Al primogenito del presidente della Campania sarebbero stati pagati con i soldi della società i seguenti viaggi in Lussemburgo (dove lavora): 5,315 euro da aprile 2010 a novembre 2011 e 8.936 dal settembre del 2009 all’aprile 2010. «Auspico che il giudizio si celebri il più rapidamente possibile per fare – ha aggiunto – piena chiarezza sulla mia posizione. Tutto questo non ci distrarrà dal lavoro che con grande impegno e sacrificio stiamo portando avanti sui territori».

Gli altri imputati. Stralciate le posizioni di Mario Del Mese, nipote di Paolo, ex sottosegretario di Stato, e del cognato Lamberti, che hanno definito il giudizio di primo grado con il patteggiamento, restano le posizioni degli altri imputati: il già citato De Luca, Giuseppe Amato jr, la moglie Marianna Gatto, Valentina Lamberti (moglie di Del Mese) e due soci che si sono alternati nel ruolo di amministratore unico: Luigi Avino ed Emilio Ferraro. Secondo gli inquirenti sono tutti responsabili di avere attinto alle casse della Ifil per spese personali e regalie. Del Mese, invece, avrebbe prelevato 94mila euro “in assenza di qualsivoglia giustificazione” e altri 200mila con fatture riferite a partite Iva che sarebbero risultate inesistenti o di altri. Peppino Amato e consorte sono invece coinvolti per circa 90mila euro che la Ifil avrebbe versato alla ditta di abbigliamento gestita da Marianna Gatto.

La Ifil e gli altri procedimenti. La società immobiliare è già finita al centro di altre inchieste giudiziarie in cui si ipotizza che la società e il suo amministratore di fatto, Mario Del Mese, abbiano fatto da trait d’union tra imprenditori e amministrazione comunale. Se ne parla nel processo per la bancarotta dell’azienda pastaia degli Amato, che all’immobiliare di Del Mese avevano affidato la vendita degli appartamenti che si volevano realizzare nel vecchio stabilimento di Mariconda, e nell’indagine su appalto e varianti per piazza della Libertà.

Massimiliano Lanzotto

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