Crac di Iacp Futura Una denuncia svelò le “scatole cinesi”

Nel mirino della magistratura la Iacp Futura c’era già finita prima del fallimento, quando l’esposto di un imprenditore alzò il velo su un sistema contabile in affanno e denunciò pratiche poco...

Nel mirino della magistratura la Iacp Futura c’era già finita prima del fallimento, quando l’esposto di un imprenditore alzò il velo su un sistema contabile in affanno e denunciò pratiche poco chiare nella gestione degli immobili. Tra le ipotesi di reato al vaglio degli inquirenti finì la vendita di appartamenti a persone che, lungi dall’acquistarli per esigenze personali, facevano parte di società immobiliari. L’operazione sarebbe stata possibile grazie a un sistema di “scatole cinesi”, che celava l’identità dei veri acquirenti e con il quale un ristretto giro di affaristi sarebbe riuscito ad accaparrarsi, a prezzi irrisori, un cospicuo numero di abitazioni. Uno stratagemma che tradiva la stessa finalità sociali della srl, nata per realizzare un housing sociale che consentisse l’acquisto di una casa anche a chi non dispone dei capitali necessari per comprarla a prezzi di mercato.

Per anni di quell’indagine non si è saputo più nulla, ma ora anche questo filone potrebbe essere riaperto nella nuova inchiesta condotta dall’Antimafia, che passando al setaccio società ed enti legati alla Provincia ha messo sotto inchiesta amministratori e revisori contabili di Iacp Futura in carica al momento del fallimento (nel luglio 2012) oltre all’ex presidente della Provincia, Edmondo Cirielli, e ad esponenti della sua giunta. Per il sostituto procuratore Vincenzo Montemurro sarebbero tutti responsabili di concorso in bancarotta fraudolenta, per aver contribuito ad aggravare i conti societari anche quando la situazione di dissesto era ormai evidente. Un’accusa respinta con fermezza da Cirielli, secondo cui Palazzo Sant’Agostino non aveva alcun potere per condizionare le attività della srl, ma che per gli investigatori trova invece appiglio nei rapporti politici con chi prendeva le decisioni. Sotto esame c’è tra l’altro la modalità di concessione di alcuni appalti e, nel complesso, un insieme di rapporti e procedure azzardate che avrebbe svuotato le casse fino al crac di 20 milioni di euro. Gli inquirenti stanno mettendo insieme i tasselli contabili con quelli della politica, convinti che alla base di tutto ci sia un sistema di favori e clientele che ha finito per mettere in secondo piano l’interesse collettivo. (c.d.m.)

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