Crac dell'Alvi, così è crollato l'impero dei Villani

Le cause nella crisi ma anche nei comportamenti degli amministratori, in taluni casi diventati veri e propri reati penali. L'inchiesta ha portato all’arresto di Angelo Villani

Salerno. Com’è stato possibile che un vero e proprio colosso della distribuzione organizzata, operante tutto il Mezzogiorno, si sia dissolto in questo modo?Tutta colpa della crisi globale?

Il 16 dicembre scorso il giudice Giorgio Jachia, nel dichiarare il fallimento dell’Alvi spa, evidenzia comportamenti di «estrema gravitá», che «comprovano l’inosservanza ai propri obblighi degli amministratori», che tra l’altro, insieme ai liquidatori «non sono stati in grado di fronteggiare la crisi di cui avevano piena consapevolezza da tempo».

Oggi, ancora, vengono evidenziati «comportamenti antigiudirici posti in essere dall’organo amministrativo di diritto (Antonia Villani) e di fatto (Angelo Villani)», con «medesime responsabilitá ascrivibili all’organo di controllo (Francesco Buonocore, Umberto Amendola e Giuseppe Cavallaio) e al revisore unico (Umberto Cavallaio) per l’omessa vigilanza». E’ il curatore fallimentare Tommaso Nigro a fornire ai magistrati salernitani possibili notizie di reato sul fallimento Alvi. Atti acquisti dalla Procura e finiti ora sotto la lente d’ingrandimento dei finanzieri.

L’ultimo documento nel quale si fa il quadro della situazione è il «Programma di liquidazione», depositato il 15 settembre scorso, nel quale si analizza l’ultimo quinquennio di attivitá dell’Alvi. Con comportamenti che evidenziano per Nigro una gestione «poco accorta», che «di certo non può dirsi conforme ai corretti canoni di diligenza imposti dalla normativa».

Questo perché non sarebbero state messe in atto le procedure necessarie a fronteggiare lo stato di crisi.

Una sofferenza che prende il via dal 12 agosto 2009, quando l’Alvi dovette registrare che la Banca della Campania (a cui il curatore contesta anche una certa facilitá nel concedere credito all’Alvi, e l’evidente conflitto di interessi di Angelo Villani, membro del Cda dello stesso istituto di credito) non aveva pagato assegni emessi "infragruppo", allarmando tutti gli istituti di credito coinvolti e conseguentemente i fornitori che godevano di linee di credito in conto anticipo su fatture emesse nei confronti di Alvi spa.

Il 20 settembre di quell’anno, nel corso dell’assemblea degli azionisti, l’amministratore unico presentò un bilancio che evidenziava una perdita di oltre 22 milioni di euro. In seguito alla crisi è stato sempre più difficile per l’Alvi somministrare merci sia ai punti vendita di proprietá che a quelli delle societá del gruppo.

Fino al 19 ottobre 2009, quando la societá ha subito alcuni protesti di assegni che hanno ulteriormente peggiorato i rapporti intrattenuti con le imprese fornitrici e la totale chiusura da parte delle banche. Per Nigro è presumibile che la politica gestionale adottata «abbia nel medio periodo generato forti elementi di criticitá che hanno portato al definitivo dissesto».

Nelle 178 pagine del documento si fa anche riferimento al continuo ricorso «al denaro contante proveniente dalle societá controllate e/o dominate, indistintamente utilizzato per "coprire" le impellenti necessitá ha poi reso cieco l’organo amministrativo che si è mostrato sempre inconsapevole dell’erosione ai margini».

Ad avviso del curatore, gli stessi "correttivi della crisi" che avrebbe dovuto adottare l’azienda appaiono di dubbia utilitá. «Resta, infatti, assolutamente incomprensibile», scrive Nigro l’atteggiamento tenuto dall’organo amministrativo nei confronti di alcune societá orbitanti nel gruppo, che avevano un debito nei confronti di Alvi spa di oltre 44 milioni di euro. Ma, sia gli amministratori che poi i liquidatori, non avrebbero messo in campo alcuna azione per recuperare i soldi.

Anzi, negli atti del fallimento, si evidenziano pure «anomale operazioni», come «la preoccupante alternanza di saldi e di giroconti effettuati in compensazione tra le richiamate societá con variegate diciture "giroconto" o "giroconto per errato pagamento Superalvi"».

E tra queste e altre movimentazioni, soprattutto per quanto riguarda le merci, si arriva per il curatore a un risultato «sorprendente»: da un lato c’è un esponenziale incremento del credito di fornitura, dall’altro un’intensa riduzione del credito stesso per effetto di pagamenti rateizzati. Ciò, sia per le societá del gruppo, che per l’Alpa, «destinataria di un ingente quantitativo di merci, nonché di larga parte dei punti vendita».

L’aver rifornito queste societá «senza alcuna pretesa di garanzia o di pagamento (tra l’altro in un periodo in cui risultava conclamato lo stato di insolvenza)», potrebbe per il curatore aver concretizzato una ipotesi distrattiva, a danno di altre imprese creditrici.

Ancor più singolare, dice Nigro, «è la concessione di credito senza adeguate garanzie della Alpa, societá di capitale sociale decisamente esiguo». Con il rischio concreto di «aver creato una evidente e voluta crisi anche in capo agli stessi fornitori che hanno forse incautamente concesso il residuo credito alla societá poi fallita».

Cercando di semplificare, le azioni adottate - soprattutto «l’incomprensibile atteggiamento» tenuto nei confronti delle societá clienti, dalle quali in sostanza l’Alvi non ha mai ottenuto il credito vantato - «porterebbe a configurare un comportamento quantomeno colposo e produttivo di danno».

Sempre, se i crediti di cui si sta parlando siano effettivamente reali. Perché per il curatore il dubbio è concreto, soprattutto in merito alla loro consistenza, visto che «rappresentano nient’altro che la trasposizione in circolante delle giacenze di merce». Con l’ulteriore possibilitá di configurare «il caso della cessione per operazioni inesistenti».

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