MEDICINA

«Così sveleremo i segreti dell’autismo»

Il professor Fasano presenterà alla Fondazione “Ebris” i primi risultati del progetto “Gemma”: 600 bambini monitorati

Cinque anni per trovare la causa che determina la sindrome autistica nei bambini e dare una risposta terapeutica per prevenire i disturbi che la patologia comporta. Questo è il tempo che a disposizione della Fondazione “Ebris”: l’istituto di ricerca salernitano collaborerà con altri sedici partner internazionali di ricerca pubblici e privati e stamattina svolgerà il primo meeting sul progetto “Gemma”. A distanza di un anno dall’inizio delle attività, è un primo confronto tra i ricercatori. A coordinare il progetto è il professor Alessio Fasano, salernitano, presidente e direttore scientifico della fondazione e direttore del Dipartimento di gastroenterologia pediatrica e nutrizione di Boston.

Professore quando è partito il progetto?

Un anno fa e durerà cinque anni. Siamo riusciti a ottenere un finanziamento dalla Comunità europea di 14 milioni e 200mila euro, su tantissimi progetti presentati l’abbiamo spuntata noi, la Francia e il Belgio. E per ottenerli abbiamo impiegato quattro anni e mezzo.

Chi partecipa al progetto di ricerca?

I partner sono sedici, di questi cinque sono in Campania, incluso “Ebris” da cui il progetto è partito. C’è l’Università di Napoli “Federico II”, l’ateneo di Salerno, l’Asl di Salerno e privati impegnati nella ricerca come Danone che si occupa di probiotici e Theoreo che studia il metabolismo. Il primo obiettivo è individuare biomarcatori per la diagnosi precoce dell’autismo.

Cosa sono?

I biomarcatori predispongono alla malattia, determinano l’autismo. Se li individuiamo è come se avessimo nelle mani una sfera di cristallo per il futuro.

Faccia un esempio.

La premessa è che noi studiamo e studieremo in questi anni i neonati che nascono in famiglie in cui sono già nati fratellini affetti da autismo. La probabilità che nasca un altro familiare con la stesse caratteristiche è dieci volte maggiore. Verificheremo gli stili di vita della famiglia, se la mamma o i genitori sono fumatori, la loro alimentazione, se il piccolo è nato da parto cesareo o spontaneo, se e quando è avvenuto lo svezzamento, eventuali infezioni e tantissime altre informazioni. Sono tutte fondamentali e servono a capire le caratteristiche del piccolo e il suo profilo metabolico nel tempo. I biomarcatori, geni a parte, potrebbero interessare il metabolismo, il sangue o tantissime altri fattori.

C’entra la genetica?

Sì, ma non è sufficiente. C’è la predisposizione alla malattia, ma questo non significa necessariamente che per tutti si manifesti. I geni chiaramente non li possiamo manipolare, il resto sì.

Quanto è grande il campione di ricerca?

Sono 600 bambini. Su un campione di 100, ad esempio, c’è il 15% di probabilità di rischio che anche il secondogenito nasca con la stessa sindrome mentre gli altri proseguono normalmente la loro crescita. Noi vogliamo scoprire le cause, cioè perché alcuni bambini diventano autistici e altri no. Se non c’è familiarità, invece, mediamente il rischio, è del 2%.

Quale vantaggio comporterebbe una diagnosi precoce?

Combinando i diversi fattori ambientali esterni che cambiano il microbioma, cioè l’insieme del patrimonio genetico e delle interazioni ambientali, la strada intrapresa verso l’autismo può essere corretta. Scoperta la causa, si possono iniziare terapie personalizzare.

Un esempio di terapia preventiva individuale?

Se l’abuso di antibiotici nel primo anno di vita aumenta il rischio della patologia intervengo lì; se il problema è la qualità del cibo, intervengo lì e cosi via.

Saranno presi in considerazione i dati ambientali?

Sì, miasmi da idrocarburi, fumo, inquinamento sono fattori importanti.

L’interazione tra nutrizione e stato di salute influenza i fattori di rischio?

Sì molto, l’alimentazione nei primi mille giorni di vita potrebbe essere importante rispetto ai cambiamenti di rotta della predisposizione autistica.

I 600 bambini che seguirete come sono stati selezionati?

Sono tre i centri di reclutamento. In Italia è a Salerno. “Ebris” è la cabina di regia e il reclutatore è l’Asl di Salerno. Poi ce n’è uno in Irlanda e uno negli Stati Uniti a Boston.

Come si arriverà a un protocollo di cura personalizzato?

Speriamo di avere risultati così robusti sulla sorveglianza dei 600 bambini da inserire i dati in un modello matematico: se avremo 200-300 dati per bambino il responso del modello potrà farci capire la strada sbagliata e quindi si potrà intervenire.

Cosa dirà al meeting?

Venerdì (oggi, ndr ) e sabato faremo il punto dello stato attuale della ricerca e stabiliremo la tabella di marcia. Domenica ad associazioni e famiglie spiegheremo quello che facciamo.

Marcella Cavaliere