la testimonianza

«Così il fango ha spazzato via ogni speranza»

l racconto di una notte terribile e di un “dopo” da incubo «E la celebrazione sarà una festa, ci vorrebbe solo silenzio»

SARNO. Via Nunziante, centro cittadino di Sarno. Abita qui Teresa Vitolo, occhi di ghiaccio e sorriso triste, sopravvissuta alla tragedia che 18 anni fa le ha portato via tutto, la casa ma soprattutto un pezzo di cuore. Da allora, ha lasciato Episcopio e ora vive con suo figlio Egidio, facendo a pugni, quotidianamente, con il ricordo di una tragedia che è sempre viva nel suo cuore e nella sua mente. Teresa, vedova di Aurelio Milone e mamma di Gaetano – scomparsi quel maledetto 5 maggio – tenta di parlare trattenendo le lacrime, ma non ce la fa. Il ricordo di quella notte, di quel buco nero che ha risucchiato parte della sua anima, è ancora vivo e lo sarà per sempre. I sentimenti che prova sono contrastanti.

Il dolore e la festa. «È un dolore enorme – spiega Teresa – misto a una grande rabbia per quanto ancora oggi sono costretti a subire “gli alluvionati”, abbandonati e al centro delle polemiche per un risarcimento che spetta loro di diritto e che non li ripagherà mai delle perdite subite». Teresa è arrabbiata anche perché oggi, per le strade, «si farà festa con l’aeronautica invece di fare silenzio».

È arrabbiata «perché in chiesa ci sarà la solita passerella di volti e corpi preparati a festa, quando poi da festeggiare non c’è proprio niente». «Si deve fare solo silenzio – insiste Teresa – Andare a messa e commemorare nel rispetto totale. Il dolore che abbiamo dentro lo portiamo nei nostri cuori, ogni giorno, come un macigno che tenta di schiacciarci». Ricordare quel giorno le fa male, molto, ma non si ferma. «Lo faccio per i miei cari – aggiunge – per mantenere viva la memoria e far capire a tutti quanto è accaduto quella notte». Non si sottrae alle domande e in un attimo parte il flashback.

Sarno, la testimonianza di Vitolo
SARNO. Il racconto di una notte terribile e di un "dopo" da incubo nelle parole della signora Teresa Vitolo che in quel tragico evento perse il marito Aurelio Milone e il figlio Gaetano (video L. Pepe)

Il ricordo. «Gaetano aveva 18 anni, lavorava al distributore di benzina della nostra famiglia – ricorda – Mio marito, Aurelio, faceva il macellaio, avevamo un punto vendita e commercializzavamo carni. Quel martedì di 18 anni fa, i miei erano a lavoro come in una normalissima giornata. Pioveva, pioveva tanto. Ero andata in salumeria, sotto casa, per comprare qualcosa per la cena. Era pomeriggio e dietro di me cominciava a scendere “quella roba”. Tornai a casa, abitavo in Pedagnali, di fronte all’ospedale. L’aria che tirava era strana, c’era gente in strada. L’energia elettrica andava e veniva, il gas mancava. Cominciammo a capire che qualcosa non andava, ma non avevamo minimamente la percezione di quanto, di lì a qualche ora, sarebbe accaduto. Ero con mia cognata, tenevo la bambina piccola mentre lei cercava di entrare nella doccia. Ma non ci riuscì. Mancò di nuovo la corrente e decidemmo di vestirci e scendere in strada. Erano circa le 19. Mio figlio Gaetano e mio cognato, a fatica, riuscirono a salire in via Pedagnali. Era già tutto bloccato. Mio marito era ancora in macelleria e io volevo andare a chiamarlo. “Mamma non ti muovere da qua, le strade sono allagate, papà verrà come siamo venuti noi”, disse mio figlio. Poco dopo arrivò anche mio marito. Egidio, l’altro mio figlio, non c’era. Era a Torino e chiamava tutte le sere alle 8. Stavamo giù, fuori dalle nostre case nonostante piovesse. Mio marito più volte mi chiese di prendergli un soprabito perché aveva freddo, ma non salii a prenderlo».

«Il maltempo però incalzava – prosegue Teresa – e decidemmo di salire, mangiare qualcosa e poi, magari, rifugiarci nella stalla per non rimanere in casa. Avevamo uno stabile con gli animali. Salimmo, apparecchiai la tavola. Mentre stavamo per cenare cominciarono a sentirsi dei forti boati e mio marito, ipotizzando un terremoto, mi disse: “Corriamo giù”. Mio figlio era nel cortile insieme con i suoi amici, curioso di vedere cosa stesse accadendo. Eravamo tutti in strada. Mio marito mi rimproverò del soprabito mai preso. Mi precipitai in casa per recuperarlo, finalmente, ma da lì, poi non scesi più. Aperta la porta di casa, i miei piedi affogarono nell’acqua e nel fango, che cominciò a sopraggiungere sempre più forte. Cercai ripari in uno stanzino».

Il buio e la disperazione. «Non riesco a quantificare i minuti, il tempo – continua Teresa asciugandosi le lacrime che inondano il suo viso – Aprii di nuovo la porta, ma vedevo tutto nero, vedevo solo le lucine delle case in lontananza. Mi diressi verso la cucina e solo a quel punto capii che metà della mia casa non c’era più. Cominciai a urlare i nomi di mio marito e di mio figlio – Aurelio, Gaetano – nessuno rispondeva. Cercai di andare in terrazzo, mi affacciai e vidi mio cognato. Mi fece scendere e mi rassicurò: avremmo trovato Aurelio e Gaetano. Non capivo più niente. Costeggiammo il cimitero nel buio pesto della notte e riuscimmo ad arrivare al campo sportivo. Lì trovammo i primi soccorsi. Chiedevo di mio figlio e di mio marito. Nessuno rispondeva. Mi presero, come un fagotto, e mi portarono al mercato di via San Valentino. Non capivo, ma il mio cuore, forse, aveva già avvertito qualcosa. Appena fu giorno mi incamminai a piedi verso Episcopio. Cercai di andare verso casa. Un carabiniere mi ci portò. Non c’era più nulla da fare. Il fango aveva inghiottito tutto quanto, compresa me».

L’abbandono. Per Aurelio e Gaetano non ci furono neanche i funerali di Stato. I loro corpi furono trovati dopo otto giorni, sepolti sotto il fango ormai solidificato a pochi passi da casa. «Siamo stati abbandonati da subito – conclude amara Teresa – Mi sono rimboccata le maniche e ho combattuto da sola. Ho riacquistato la casa, lì non ci volevo tornare. Dopo 18 anni non ho ancora ricevuto quei soldi. Tutti parlano di noi, ma non sanno che nessuna somma potrà mai ridarmi ciò che ho perso».

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