Corruzione, De Luca indagato

La Procura di Roma accusa pure il giudice Scognamiglio che gli evitò la sospensione

SALERNO. È stata una sentenza taroccata, quella che nell’udienza del 17 luglio scorso ha evitato a Vincenzo De Luca la mannaia della Severino. A dirlo è la procura di Roma che ha aperto un’inchiesta nella quale è coinvolto il presidente della Regione Campania in concorso con altre sei persone tra cui il magistrato Anna Scognamiglio, proprio il giudice relatore nella fase di merito del ricorso ex art. 700. La sentenza “salva governatore” uscì il 22 luglio mentre la giurisprudenza sul “caso De Luca” veniva discussa dai migliori giuristi prima di diventare argomento da bar e social network. Oggi si scopre, che quella sentenza, potrebbe essere tutto un imbroglio studiato a tavolino e per il quale il procuratore romano Giuseppe Pignatone sta indagando il capo staff del governatore, Nello Mastursi; il marito della Scognamiglio, l’avvocato Guglielmo Manna; un infermiere del Santobono di Napoli, Giorgio Poziello; l’avvocato Gianfranco Brancaccio; il candidato alle scorse regionali nella lista Campania Libera, l’avellinese Giuseppe Vetrano. Le ipotesi di reato sono concorso in corruzione.

I fatti. Secondo i magistrati di piazzale Clodio in più occasioni e in tempi diversi, il giudice Scognamiglio in concorso con il marito attraverso l’intermediazione di Poziello e Brancaccio, avrebbero minacciato il presidente De Luca di emettere una sentenza a lui sfavorevole. Per farlo si sarebbero serviti dell’ex coordinatore delle liste, Vetrano e appunto di Mastursi. Lo scopo era quello di costringere il governatore ad affidare proprio al coniuge del giudice, la nomina all’ufficio legale dell’Asl Napoli 1. L’episodio si sarebbe verificato anche in occasione dell’udienza tenutasi presso il tribunale di Napoli l’11 settembre scorso. Per questo motivo sono scattate le perquisizioni non solo negli uffici di via Santa Lucia ma anche presso i domicili delle persone indagate. In pratica, se De Luca in quella occasione avesse denunciato la Scognamiglio, forse ora sarebbe stato sospeso ma non indagato. Così non è stato e dunque anche lui è finito nel mirino dei giudici romani. Il coinvolgimento del magistrato napoletano spiega il perché l’indagine sia condotta dai colleghi romani e spiegherebbe anche il riserbo che per tutta la giornata di ieri la procura di Roma ha tenuto.

La sentenza. La sentenza al centro dell’inchiesta romana è quella con la quale la prima sezione civile del Tribunale di Napoli confermava quanto già deciso il 2 luglio scorso dal giudice monocratico Gabriele Cioffi, il quale aveva congelato la sospensione di De Luca dalla carica di governatore che era stata disposta con un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri in base alla legge Severino. La sospensione, lo ricordiamo, era relativa ad una condanna a un anno di reclusione per abuso di ufficio inflitta a De Luca quando era sindaco di Salerno. Il collegio aveva accolto il ricorso presentato dai legali di De Luca e aveva inviato gli atti alla Corte Costituzionale sospendendo il procedimento sul merito fino a quando la Consulta non si sarà pronunciata sui presunti profili di incostituzionalità ravvisati nella legge Severino.

Il retroscena. Già lunedì sera l’ipotesi del coinvolgimento di giudici napoletani circolava negli ambienti. Nessuna conferma però dai palazzi del potere. Tra i democrat c’era imbarazzo, la notizia delle dimissioni di Mastursi erano avvolte, anche per loro, nel mistero. «Questioni personali» è stata la giustificazione che per tutto il tempo a tenuto banco. Cioè: tutto e niente. Ma nel cerchio magico del presidente i visi erano già tirati. Lo erano subito dopo le perquisizioni. De Luca pare avesse convocato d’urgenza i suoi collaboratori più stretti per studiare una exit strategy. Il diktat partito dal governatore è stato quello di ostentare sicurezza e nel mentre suggerire le dimissioni di Mastursi. Una mossa che ha scatenato la stampa ma che, secondo i piani, avrebbe potuto mettere al sicuro il governatore. La riservatezza della notizia però, lasciava intuire che le motivazioni affidate ad uno scarno comunicato stampa della Regione e che anche lo stesso presidente De Luca ha tentato di difendere fino a ieri sera, non erano plausibili. Ancora ieri sera in una intervista a radio Kiss Kiss l’ex sindaco di Salerno ha sfoderato ancora una volta la sua ironia («Mastursi? Manco fosse Churchill») prima di capitolare intorno alle 23 con comunicato nel quale prende le distanze dall’inchiesta («È mia intenzione fare in modo che si accendano su questa vicenda i riflettori nazionali, trovandomi nella posizione di chi non sa di cosa si stia parlando»). Intanto questa mattina alle 11 ha convocato la stampa per spiegare i fatti. Almeno quelli dal suo punto di vista.

I risvolti politici. È inutile dire che smarcarsi da questa posizione diventa difficile. Il Partito democratico, dopo il “caso Marino” potrebbe ritrovarsi a dover fronteggiare anche quello De Luca. Cosa farà Renzi? È questa la domanda che da questa mattina ossessionerà i democatici. Anche e soprattutto in vista delle amministrative di primavera che vedono i grillini prendere sempre più quota.

©RIPRODUZIONE RISERVATA