L'EMERGENZA EPIDEMIA

Coronavirus, «Io, cameriere e padre travolto dal Coronavirus»

Ha 37 anni e lavorava in un ristorante: con il lockdown non ha più uno stipendio «Sono stato costretto a chiedere aiuto»

SALERNO - Il suo lavoro gli consentiva di mantenere con dignità la propria famiglia, ma lui non si accontentava e cercava quando poteva di dare anche una mano ai più bisognosi. «Poi è arrivato lo tsunami chiamato Coronavirus a spazzare via le mie certezze, come quelle di milioni di cittadini italiani, e ho dovuto a mia volta chiedere aiuto », ha raccontato ai suoi amici. La storia di Salvatore, che abita nel cuore di Salerno, è l’esatta fotografia del danno provocato dall’emergenza a chi, da un momento all’altro, si è ritrovato senza un impiego, senza appigli, «con la prospettiva di un futuro non certo roseo», dice.

Sposato, 37 anni, con un figlio di 5 anni, faceva il cameriere in un locale del centro storico. Lavorava sodo, «in primis per garantire sostegno ai miei cari», ma nel tempo libero andava anche oltre: spinto da un forte spirito di solidarietà, collaborava con un’associazione del territorio, che opera nel borgo antico di Salerno, aiutando una sessantina di famiglie. Inoltre, una volta al mese si recava al Banco Alimentare di Fisciano, offrendosi come volontario «per portare la spesa a casa delle persone». Un esempio di abnegazione e sacrificio, insomma, fino a quando «l’incubo non si è abbattuto su di me facendo crollare tutto ciò che con fatica avevo provato a costruire». Al punto che è stato lui stesso, «non senza remore», a doversi rivolgere al Banco Alimentare per il pacco.

La risposta, ovviamente, è stata immediata, a testimonianza di quanto aveva seminato con le sue buone azioni. Un aiuto, di fatto, servito a lenire un po’ l’oggettiva sofferenza di un momento da lasciarsi alle spalle il più in fretta possibile. «Sono circa due mesi, ovvero dal lockdown, che non lavoro, e andare avanti è sempre più difficile », confida ai colleghi del Banco. Lo stesso discorso vale per tante persone (anche concittadini) che loro malgrado arricchiscono, di giorno in giorno, la lista dei cosiddetti “nuovi poveri”. Tra questi ci sono piccoli imprenditori, titolari di negozi di abbigliamento che avevano aperto i battenti pochi mesi fa, e in men che non si dica hanno dovuto chiudere, artigiani, barbieri, proprietari di botteghe che non usufruiscono di alcuna cassa integrazione, ma ben presto dovranno fare i conti con una spada di Damocle fatta di debiti e scadenze fiscali.

La testimonianza arriva dagli addetti alla consegna dei pacchi alimentari. Questi ultimi, durante il loro servizio alla comunità, incontrano ogni giorno lavoratori e famiglie per i quali i due mesi di sospensione delle attività rischiano di avere conseguenze drammatiche. «Il vero “welfare”, in molti casi - racconta un volontario del Banco Alimentare - è rappresentato dalla classica pensione dei nonni, che peraltro, ironia della sorte, sono i soggetti più esposti al pericolo di contagio da Covid- 19». Quello di Salvatore, inoltre, non è un caso isolato tra i collaboratori di Caritas, parrocchie e associazioni che, dal fare volontariato, sono divenuti i destinatari degli aiuti. A rincuorare sono i quasi 4 italiani su 10 (39%) che hanno dichiarato di partecipare a iniziative di solidarietà attraverso donazioni o pacchi, alimentando un clima di reciproco supporto.

(f.i.)

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