Confiscato il tesoro di Petrosino

Pagani: gli appartamenti del giovane boss erano intestati alla moglie

PAGANI. La corte d’appello di Salerno ha confiscato gli immobili intestati alla moglie di Antonio Petrosino D’Auria, Rita Fezza, sottoponendo al provvedimento i beni situati in via Amendola, nel cuore del centro storico.

In particolare gli agenti della sezione anticrimine della questura di Salerno hanno confiscato due immobili al piano terra, non censiti, un immobile al primo, secondo e terzo piano, non censiti, due immobili al piano terra, censiti e quattro immobili, rispettivamente ai piani seminterrato, primo, secondo e terzo, censiti. Gli uomini della questura hanno confiscato anche denaro depositato sul conto corrente della Fezza, per l’importo complessivo di 38mila euro.

I provvedimenti comprendono la misura di prevenzione della sorveglianza speciale a carico di Antonio D’Auria Petrosino, trentaduenne elemento di spicco della criminalità paganese, nato a Cava de’ Tireni, attualmente sottoposto al regime degli arresti domiciliari nel procedimento Lina d’ombra. D’Auria è sposato con Rita Fezza, figlia di Salvatore Fezza, ucciso in un agguato camorristico a Pagani, “integrato nel sodalizio criminoso denominato Clan Fezza- D’Auria Petrosino”. La misura patrimoniale di fatto colpisce quello che per più pentiti e indagini antimafia è da circa dieci anni il vero capo del clan della Lamia.

“Senza Antonio non si muove niente”, riferirono Prisco Ceruso e Domenico Califano. “Tutti dovevano ascoltare Antonio D’Auria”, riferì il pentito a tempo Salvatore “Totore” Fezza prima di ritrattare, coi verbali acquisiti in un processo proprio a carico di Antonio D’Auria e del padre, Gioacchino “spara spara”. Il suo nome era scritto sul fascicolo collegato alla requisitoria del processo per l’omicidio Aziz, poi in una delicata indagine sui rapporti tra camorristi e carabinieri a Pagani, nel 2007, col pentito Greco che raccontò l’incontro tra un militare, D’Auria e il pregiudicato Vincenzo Confessore.

A ritroso fino al novembre 2003, quando per molti, ma non per gli inquirenti, “Tonino” era un giovanissimo e temuto capoclan. In quel periodo i rivali delle palazzine, altro gruppo criminale di Pagani, lo volevano morto, al punto da pianificare un agguato in collaborazione con esponenti dei casalesi. Allora tredici colpi esplosi da due armi da fuoco non bastarono a uccidere lui e il padre. D’Auria, allora ventitreenne, dagli atti processuali emerse come vero bersaglio dell’agguato, capo di un violento gruppo criminale.

La genesi del clan Fezza-Petrosino D’Auria, rimasta fuori dal maxiprocesso Taurania, non prescinde dal suo ruolo. Gli immobili bloccati stonano come corpi estranei nei bassi popolari del quartiere che congiunge via Amendola, quartiere Lamia, e Piazza Cappella, feudo degli Olivieri, degli Archetti, dei De Vivo e infine dei Fezza-D’Auria.

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