Condannati i cugini Ridosso e Loreto junior 

Sei anni e otto mesi a Gennaro, cinque anni e otto mesi a Luigi e un anno e due mesi per Alfonso al termine del rito abbreviato

SALERNO. Politica e camorra camminarono a braccetto, confermato il patto tra i capi della“res publica” e gli uomini del clan. È arrivata ieri la prima sentenza dell’operazione “Sarastra”: l’inchiesta dell’antimafia di Salerno, sostituto procuratore Vincenzo Montemurro, che defenestrò i vertici di Palazzo di Città e l’allora sindaco Pasquale Aliberti. Il gup Emiliana Ascoli del tribunale di Salerno ha condannato Gennaro Ridosso, figlio di Romoletto, suo cugino Luigi Ridosso e Alfonso Loreto Junior. Le condanne a sei anni e otto mesi per Gennaro Ridosso, cinque anni e otto mesi per Luigi Ridosso e un anno e due mesi (in continuazione con una precedente sentenza per associazione camorristica) per l’ex boss pentito Loreto sono arrivate al termine del giudizio abbreviato.
Gli imputati rispondono, a vario titolo, di corruzione elettorale, scambio di voto, estorsione e minacce aggravate. A sostenere le tesi difensive erano gli avvocati Michele Sarno, Pierluigi Spadafora e Luigi Ferrone. Nel giudizio di primo grado hanno retto tutte le accuse avanzate dal pm Montemurro. Il giudice, inoltre, ha riconosciuto il danno subìto dalle parti civili (i conservieri Aniello e Fabio Longobardi e la giornalista Valerio Cozzolino, minacciata dal sodalizio camorristico), stabilendo una provvisionale che sarà decisa in sede civile.
Quello di ieri, benché sia un giudizio non definitivo, non potrà non influire sul filone principale del processo, quello in corso al tribunale di Nocera Inferiore, dove sono imputati l’ex sindaco di Scafati, sua moglie Monica Paolino, consigliere regionale della Campania, suo fratello Nello Aliberti, l’ex consigliere comunale Roberto Barchiesi, l’ex vicepresidente dell’Acse, Ciro Petrucci, Andrea Ridosso e l’ex staffista comunale Giovanni Cozzolino. A smascherare il sistema di controllo politico e mafioso che gravava su Scafati furono gli uomini della Dia, la Divisione investigativa antimafia, di Salerno, diretti dal tenente colonnello Giulio Pini. Sotto esame finirono gli accordi sottobanco per le elezioni comunali del 2013 e quelle regionali del 2015, quando fu eletta la consigliera Paolino. Si è a lungo parlato di un “sistema” illegale di cui era partecipe l’ex sindaco, supportato da parte della sua macchina amministrativa, che era siglato un patto con i clan, in particolare le famiglie Loreto e Ridosso, per uno scambio soprattutto in termini di voti nelle campagne elettorali dello stesso Aliberti e di sua moglie, la consigliera Paolino. Sulle accuse dall’Antimafia c’è ora una sentenza che rafforza l’impianto accusatorio e conferma, per ora, la presenza di un patto tra politici e camorristi per il controllo della città dell’Agro.
Massimiliano Lanzotto
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