Con tutti i soldi stanziati migliaia di edifici insicuri

Secondo il presidente nazionale degli ingegneri servirebbero almeno 8 miliardi Zambrano: «La normativa non aiuta, ma oggi avremmo meno danni del 1980»

SALERNO. «Il rischio zero non esiste. Se dovesse ripetersi un terremoto simile a quello del 1980 in Irpinia, non subiremmo le stesse conseguenze anche se sono ancora molti gli edifici costruiti prima del 1919 e che andrebbero messi in sicurezza».

Il presidente del Consiglio nazionale degli ingegneri, il salernitano Armando Zambrano, parte dagli ultimi dati elaborati dal Centro Studi del Cni per fotografare la situazione degli edifici in Campania. Su 2.245.184 abitazioni presenti su tutto il territorio regionale sono quasi un milione (960.047) quelle a potenziale rischio sismico. L’ottanta per cento, 782.641 abitazioni sono concentrate tutte nella zona sismica 2, nella quale ricade anche la provincia di Salerno, che nel terremoto del 1980 fu colpita dalla devastazione con la scomparsa di interi centri al confine con l’Irpinia. Edifici per la maggior parte storici, costruiti tra il 1919 e il 1971 che oggi necessiterebbero di interventi strutturali per adeguarli alla normativa antisismica che, nonostante tutto, in Italia è all’avanguardia.

Servono otto miliardi. Complessivamente, in Campania, occorrerebbero poco più di 8 miliardi di euro (8.095.757.599) per mettere in sicurezza tutti quegli edifici particolarmente a rischio. Di questa somma, 6,5 miliardi di euro andrebbero investiti proprio sulle abitazioni in zona sismica di livello 2.

«Secondo i nostri calcoli – sostiene Zambrano – per mettere in sicurezza l’Italia servirebbero 93 miliardi di euro da investire nei prossimi anni». Una cifra che può sembrare enorme ma che al cospetto dei 150 miliardi di euro spesi negli ultimi 50 anni per intervenire nelle tante zone terremotate dove si è dovuto ricostruire, spesso lontano dai luoghi originari, intere città e comunità. Ma la mancanza di fondi non è l’unico, anzi non è neanche il primo dei problemi che oggi si riscontra nel nostro Paese quando si parla di mettere a norma il patrimonio edilizio.

La legislazione non facilita. «Uno dei principali problemi - spiega il presidente del Consiglio nazionale degli ingegneri - è rappresentato dall’attuale legislazione in materia che pone molti limiti agli interventi. Attualmente, infatti, per intervenire ad esempio sui condomini la legge prevede che venga presentato e realizzato un unico progetto. Quindi significa mettere d’accordo i condòmini e questo, nella maggior parte dei casi, non è possibile. Certo – aggiunge – ci sono gli eco-bonus, ma bisogna rendere questi incentivi più consistenti e più facilmente spendibili. Infine, serve una maggiore semplificazione delle procedure che consenta ai tecnici di andare avanti nelle opere mediante le autocertificazioni». C’è poi anche un aspetto economico che frena il privato a investire sulla prevenzione. Gli interventi possibili per rendere anti sismiche le nostre abitazioni ci sono. Si va dall’utilizzo della fibra di carbonio attorno ai pilastri che riduce notevolmente il rischio di fratture, alla disposizione di controventi dissipativi tra un piano e l’altro per ammortizzare le scosse, fino ai rinforzi tramite l’installazione di catene o il risarcimento delle murature. Interventi che possono costare tra gli 80 e i 150 euro al metro quadrato. «In alcuni fabbricati – sottolinea Zambrano – si può anche intervenire dall'esterno, riducendo i costi di un intervento dall'interno dove, al contrario, di dovrebbero eliminare e rifare pavimentazioni e intonaci».

Non c’è cultura della prevenzione. Ma più di quello economico, il vero problema è la mancanza di una cultura della prevenzione, al Sud più che al Nord. «In Italia – osserva amaramente – se non c’è obbligo non si interviene. E così, nei criteri di valutazione dell’immobile tra le tante caratteristiche presenti, manca sempre quella della sicurezza statica dell’edificio. Spesso i proprietari si limitano a cambiare gli infissi o a fare qualche altro ritocco. È un fatto culturale: sanno che alla fine venderanno comunque allo stesso prezzo, senza ottenere un ulteriore guadagno».

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