Coltivare ortaggi nello spazio? Si può 

Due salernitani hanno progettato una serra dotata di una tecnologia illuminotecnica efficace anche in condizioni estreme

L’immagine di una colonia di terrestri che, dopo un disastro atomico o per sfuggire a un’invasione, debbano lasciare il proprio pianeta alla ricerca di una nuova vita nello spazio, fa parte di un’ampia letteratura cinematografica e fumettistica. Razionalmente, si pensa che tutto ciò sia impossibile o, per lo meno, lo si immagina come uno scenario lontano lustri, poco realistico nel breve periodo. E se, invece, accadesse davvero? Come farebbero degli umani, magari emigrati su Marte, a nutrirsi? La risposta può arrivare da una serra innovativa nella quale i ricercatori possono riprodurre le condizioni di vita di una tipica serra per la produzione di ortaggi, adattabile, però, a condizioni di vita estreme, quali quelle che si potrebbero trovare fuori dall’orbita terrestre.
Un supporto importante nello sviluppo di questo dispositivo è arrivato da due ricercatori salernitani, Rosario Valles e Carmelo Cartiere, i quali da anni studiano e realizzano soluzioni innovative da applicare in campo bio-medico. I due inventori salernitani, con la loro società Nextsense, possiedono una tecnologia illuminotecnica, distribuita con il marchio biovitae®, che può contenere la carica microbica ambientale e che può anche stimolare la crescita di piante commestibili fino al doppio del loro peso. «In pratica – spiega Cartiere – la nostra tecnologia illuminotecnica implementa una serra innovativa, molto più evoluta delle attuali, nella quale sono riprodotte fedelmente tutte le condizioni ottimali per far crescere le piante e anche i fiori. La nostra illuminazione – chiarisce – assicura una bassa carica microbica, proteggendo i vegetali da patologie e parassitosi, favorendo al contempo la crescita dei vegetali. Il nostro sistema d’illuminazione – continua Cartiere – irrora luce in un ampio spettro luminoso replicando l’intera gamma visibile dello spettro solare e, assicurando il giusto livello d’irradiazione luminosa, stimola la fotosintesi clorofilliana migliorando la crescita e le proprietà dei vegetali». Una sorta di sole artificiale per le piante, con le stesse radiazioni elettromagnetiche utili e senza quelle dannose, quali i raggi ultravioletti. «Sono le frequenze luminose che le piante prediligono», aggiunge Cartiere. Rispetto alle luci che sono state utilizzate finora, inoltre, in questo caso, i due ricercatori sono riusciti a garantire una luminosità di colore bianco. «Quelle che esistono – sottolinea Valles – si servono di una lunghezza d’onda blu e una rossa e l’ambiente coltivato, quindi, diventa di colore purpureo. Lavorare in queste condizioni risulta particolarmente complicato perché non consente all’operatore di avere una corretta percezione visiva e dello spazio circostante. Noi, invece, siamo riusciti a coprire e aumentare la banda luminosa attraverso una luce bianca, in modo da riproporre in tutto e per tutto le condizioni di lavoro di una serra terrestre facilitando, così, anche l’attività, ad esempio, di un astronauta che si trova a dover operare in assenza di gravità, quindi con maggiori difficoltà nella percezione dello spazio circostante».
All’interno della serra innovativa, inoltre, proprio perché si tratta di un ambiente privo di inquinanti, l’acqua può essere utilizzata attraverso il ricircolo, in modo da creare un valore ulteriore in termini di risparmio delle risorse a disposizione. «La serra – spiega Cartiere – è nata per essere utilizzata nello spazio, ma nulla toglie che possa avere degli impieghi differenti, anche in luoghi dove le condizioni, per il troppo caldo o, viceversa, per il troppo freddo sono rese proibitive, come può essere nel deserto oppure tra i ghiacciai». Ma anche in casa, dove, magari non si ha la fortuna di avere un terrazzo con terra coltivabile e si ha voglia, invece, di avere un proprio orto. Un prototipo di serra spaziale ha recentemente debuttato alla manifestazione “Futuro Remoto” a Napoli. Sviluppato da Ares Cosmo, Cira, Università degli Studi di Napoli Federico II, Enea, ha avuto un importante contributo da parte di Valles e Cartiere che da tempo collaborano con l’Enea. «Abbiamo conosciuto i ricercatori dell’Enea per caso - ricorda Cartiere - quando ci siamo rivolti a loro come ente terzo per far testare la validità di un nostro precedente brevetto e da lì è nata una collaborazione intensa e fondata sulla stima reciproca che ha portato all’elaborazione di nuovi approcci nell’illuminazione delle piante» .
Eleonora Tedesco
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(11-Continua. I pezzi su Roberto Conza, Attilio Mantovani, Annamaria Salzano, Rosaio Valles e Carmelo Cartiere, su Carlo e Serena De Luca, Italo Ingenito, Antonio Di Giacomo, Donato Di Canto e Michele D’Auria e Diego Iacoe, Mauro Russo, sono usciti l’11 aprile, il 14 e 21 febbraio, il 7, 14, 21, 28 marzo e 4, 18 e 25 aprile)