Clan Fabbrocino, scattano sette arresti 

Estorsioni e droga: misure catutelari per altri 4 affiliati alla cosca guidata da Maturo. Indagata 45enne di Scafati amica del boss

NAPOLI. Operazione anticamorra, eseguite dai carabinieri 11 misure cautelari nei confronti di presunti affiliati al potente clan vesuviano dei Fabbrocino. Per 7 indagati c’è il carcere, altri 4 sono sottoposti all’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria. Le accuse sono di estorsioni a imprenditori e spaccio di droga. Respinta la richiesta di arresto per Clotilde “Tilde” Quattroventi, la 45enne di Scafati indagata per favoreggiamento personale in concorso, aggravato dalla finalità di agevolare la cosca. La donna, impiegata in una clinica del Vesuviano, è nei guai perché avrebbe avuto una relazione con Francesco Maturo, considerato reggente del clan. I militari dell’Arma catturarono il 47enne in una villa a due piani di Angri, il 9 maggio di 4 anni fa, quando era nella lista dei 100 latitanti più pericolosi. Maturo sfuggiva alla giustizia da 18 mesi e i pm della Dda di Napoli sospettano Quattroventi di averne coperto la latitanza. Accuse non condivise dal gip Emilia Di Palma, che per la donna non ritiene sussistenti i gravi indizi di reato. Lei e il boss sarebbero stati solo legati sentimentalmente.
«La condotta del reato di favoreggiamento personale, che è un reato di pericolo - sostiene il giudice del tribunale di Napoli - deve consistere in un’attività che abbia frapposto uno ostacolo, anche se limitato o temporaneo, allo svolgimento delle indagini, provocando quindi una negativa alterazione del contesto fattuale all’interno del quale le investigazioni e le ricerche erano in corso o si sarebbero comunque potute svolgere. Ebbene, deve ritenersi che agli atti manchi la prova della natura e dell’entità dell’aiuto fornito, diretto a ostacolare e intralciare le investigazioni in atto. In tal senso non appaiono sufficienti i riscontrati contatti tra il latitante e l’odierna indagata, dai quali è possibile evincere soltanto la perduranza di una relazione sentimentale, cui seguivano una serie di appuntamenti».
Secondo la procura, Quattroventi avrebbe aiutato Maturo ad eludere le indagini dal marzo 2013 fino al giorno in cui fu stanato. Alla 45enne scafatese si contesta di aver fornito «ospitalità diretta al Maturo», anche «operando unitamente agli associati Aniello Cardo e Valerio Bifulco». Tuttavia per il gip non sono sufficienti neanche i «meri contatti» tra la donna, Bifulco e Cardo, questi ultimi 2 raggiunti da ordine di carcerazione. «La sussistenza di un rapporto di natura personale non consentirebbe, in mancanza di elementi ulteriori e concreti - scrive il gip - di ritenere la ricorrenza sotto il profilo psicologico dell’art.7 l.203/91 (l’aggravante mafiosa, ndr). Questa infatti, secondo giurisprudenza consolidata, non può ritenersi sussistente nel caso in cui sia favorita la latitanza di un semplice affiliato per ragioni di amicizia, di parentela o di affinità, mancando in tal caso il fine di agevolare l’associazione e la consapevolezza di fornire un contributo al perseguimento dei fini dell'associazione».
Dunque, per “Tilde” Quattroventi, cade anche l’aggravante camorristica. Agli atti restano solo una serie di conversazioni di natura privata tra lei e il presunto boss, e le telefonate con Cardo e Bifulco nelle quali si fa riferimento ad un uomo, mai nominato. Per i carabinieri del gruppo di Castello di Cisterna l’uomo sarebbe Maturo, ospite della donna, ma il gip rileva l’assenza di riscontri. La magistratura reputa accertata solo «la esistenza di una linea dedicata e diretta fra Maturo e la Quattroventi», tramite «utenze cellulari “riservate”»: quella del latitante era intestata a un 53enne di Pagani, che non risulta indagato.
Gianmaria Roberti
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