Clan e politici, i retroscena del “patto”

Intercettazioni ma anche dichiarazioni di pentiti e collaboratori dietro il blitz. La gestione Gambino e il ruolo di D’Onofrio

PAGANI. Messaggi diretti. Intimidazioni. Connivenze e scambi di favori. Uomini del clan e politici. Tutto, nelle conversazioni messe nero su bianco dagli investigatori, sembra mostrare un regime di complicità in grado di permeare la vita pubblica di Pagani, negli anni della gestione di Alberico Gambino, ex primo cittadino e attuale consigliere regionale. Come la ritorsione nei confronti del sindaco Salvatore Bottone, disposta da Michele Petrosino D’Auria e concordata con Massimo D’Onofrio – stando a quanto emerge nelle carte dell’inchiesta “Criniera”, che ha portato a due misure cautelari in carcere, tre ai domiciliari, tre obblighi di firma e 53 indagati – punto nevralgico dell’asse politico-camorristico ipotizzato dalla procura antimafia di Salerno.

È il 2010. Michele Petrosino parla dell’azione amministrativa del Comune preparando azioni per mettere in difficoltà Bottone, ora primo cittadino di Pagani, allora in carica come facente funzioni dopo la sospensione del sindaco Gambino, determinata da a una condanna per peculato. Il motivo è la resistenza mostrata da Bottone rispetto a dei pagamenti predisposti da Francesco Toscano. Così, per vendetta, arriva una fattura del Consorzio di bacino pari a sette milioni di euro, in modo da creare problemi. D’Auria ne parla con Giovanni Pandolfi Elettrico in un’altra conversazione. E il gip scrive “che appare evidente la consapevolezza di D’onofrio, pienamente partecipe dell’azione dei D’Auria per eliminare il dissenso, anche laddove un sindaco come Bottone, di stessa area politica, si rifiutasse di firmare mandati di pagamenti poco chiari”.

Michele D’Auria, in quello stesso periodo, gestisce la New service cooperativa, intestata alla moglie, società in grado di aggiudicarsi appalti provinciali per la pulizia delle strade. La procura antimafia e il gip, concordi, ritengono evidente il ruolo dell’allora consigliere provinciale Massimo D’Onofrio per arrivare a chiudere gli affari. Anche perché il lavoro riguarda le località di Postiglione, Sicignano, Castelcivita e Castelluccio, luoghi lontani dalla sede aziendale di Roccapiemonte, nonostante la Provincia abbia scelto criteri locali per gli affidi, puntando a imprese presenti in prossimità dei territori interessati. Il gip Massimiliano De Simone ravvisa la sussistenza del patto tra il politico paganese e i D’Auria, così come ricostruito dai pm della Dda, Vincenzo Montemurro e Rosa Volpe:“D’Onofrio aveva potere contrattuale nei confronti dei D’Auria, non era una vittima di camorra ma il contraente di un accordo”. Altro esempio in tal senso è il colloquio telefonico del 5 febbraio 2010, durante il quale Michele Petrosino D’Auria incassa le lamentele di una donna che ce l’ha con D’Onofrio, “reo” di scarso impegno nel procurarle un lavoro.

Eppure lo stesso D’Onofrio, sottolinea il gip, è consapevole della portata illecita del suo comportamento. Lo ammette in una intercettazione ambientale riportata nell’informativa “Gotha”, nel luglio del 2011, all’indomani dell’arresto del sindacoAlberico Gambino. “E’ chiaro che sapevo dell’appoggio”, dice rispondendo a una domanda sui rapporti tra i Petrosino D’auria e l’ex sindaco. “Ci mettiamo a negare l’evidenza?”.

Il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Nocera – firmatario delle misure cautelari richieste dai sostituti procuratori che hanno portato al blitz scattato nella notte tra giovedì e venerdì scorsi – ricorda poi anche le dichiarazioni rese da Sandro Contaldo, ritenuto un neo “pentito” dell’omonimo clan, e dall’imprenditore Alfonso Persico. Entrambi pare siano concordi nel sostenere che l’ex sindaco Alberico Gambino e l’ex consigliere provinciale Massimo D’Onofrio erano molto vicini alla famiglia dei Petrosino D’Auria.

Alfonso T. Guerritore

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