Sanita' negata

Cinque mesi per una terapia, Asl Salerno condannata

Deve risarcire 1100 euro ad una paziente costretta a rivolgersi a una struttura privata visiti i tempi lunghi dell’ospedale

SALERNO. Cinque mesi di attesa sono troppi per chi necessita di accedere a terapie salvavita. Soprattutto se ad aspettare è un malato di cancro che di quelle cure ha bisogno per vedere assicurato il proprio diritto alla vita. Lungaggini e burocrazia bloccano la sanità pubblica, a tutto danno della cittadinanza, costretta spesso a rivolgersi a centri non convenzionati e a pagare di tasca propria. E' il caso della signora Maria (la chiameremo così per ovvi motivi di privacy) la cui vicenda, seppur contornata da diverse peripezie, ha avuto un lieto fine. Sarà infatti la Asl a doverla risarcire della somma di 1100 euro. Con la sentenza n. 729, depositata lo scorso 16 febbraio, il giudice di pace, M. Cinzia Sarno, ha condannato l'Asl di Salerno al pagamento della somma, riconoscendo di fatto il diritto della signora al rimborso per il ciclo di radioterapia sostenuto a sue spese. Ripercorriamo per tappe la sua storia. Nel 2009 la signora Maria, di Battipaglia, si è sottoposta all'intervento di quadrantectomia e linfoadenectomia all'ospedale San Giuseppe Moscati di Avellino, a seguito del quale le veniva prescritto un ciclo di terapie radianti da effettuarsi entro 90 giorni dall'operazione.

«Solo entro questi termini - spiega Carmen Rosalia, l'avvocato che ha assistito la signora nella causa - la radioterapia è vista come “salvavita”, dopo infatti non sarebbe più efficace». All'unità operativa oncologica del Ruggi, in regime di convenzione, la signora Maria si è rivolta per sottoporsi al trattamento. Ma visti i tempi eccessivamente lunghi (cinque mesi), ha deciso di optare per una struttura privata, il centro D'Agostino a Nocera Inferiore, chiedendo successivamente all'Asl il rimborso per le spese sostenute, circa 1000 euro.

«L'Asl - racconta ancora Rosalia - giustificava il suo rifiuto adducendo come motivazione la possibilità per la mia assistita di attendere oppure rivolgersi ad un'altra struttura convenzionata, un'opzione, quest'ultima, che la signora ha dovuto scartare sia perché il centro più vicino si trova a circa 80 Km di distanza da Battipaglia, sia perché, settantenne e priva di auto, non avrebbe potuto recarvisi in treno, a causa dei fastidiosi sintomi derivanti dalle sedute di radioterapia». Con questa sentenza dunque il giudice ha riconosciuto il diritto alla salvaguardia della salute della signora Maria, costretta dalle lungaggini a mettere mano al portafogli «onde - si legge nel dispositivo - assicurarsi un miglioramento delle proprie condizioni di salute e soprattutto il prolungamento dell'esistenza in vita». «E' fatto notorio - è scritto ancora nella sentenza - che la terapia radiante è una terapia salvavita e che la stessa la terapia certamente è necessaria e indispensabile sia per la cura che la prevenzione di ulteriori ingravescenze. Pertanto costituiva precipuo obbligo giuridico per l'Asl provvedere alla predisposizione delle terapie radianti nei termini opportuni onde salvaguardare il diritto alla salute». A fianco della signora Maria è scesa in campo l'Amdos (Associazione meridionale donne operate al seno) che ha seguito tutto l'iter amministrativo e sanitario, svolgendo un ruolo di primo piano nella vicenda giudiziaria. «In questa storia - ha commentato la presidente Bettina Basso - prevale l'atteggiamento ottuso dei funzionari dell'Asl che, non volendo riconoscere l'esistenza della normativa che prevede l'esenzione per la terapia radiante, intesa come salvavita, hanno forse causato costi ancora più alti alla sanità pubblica. Fortunatamente - e questa sentenza lo conferma - è stato evidenziato il sacrosanto diritto per un malato di cancro ad essere curato».