«Ci dicevano di bere latte per eliminare le tossine»

Oltre 1.200 i salernitani che hanno lavorato nella fabbrica manifatturiera I meccanici che facevano le manutenzioni erano i dipendenti più a rischio

La Marzotto Sud arriva a Salerno nel 1959. Fino alla sua completa chiusura, il 23 ottobre del 1983, ha impiegato oltre 1200 lavoratori, tra meccanici, macchinisti, sarti, manutentori, amministrativi e tecnici, che ogni giorno lavoravano tutti nell’unico grande capannone dove solo qualche ufficio era separato dal resto degli ambienti dove, invece, tutti erano a contatto con tutti. Materiali, persone e cose: tutto era intriso di amianto che ogni giorno si accumulava e si fermava sopra le teste dei lavoratori come una nube invisibile e impercettibile ai sensi dell'uomo.

«Per pulire i macchinari – ricorda oggi Lorenzo Fioraso, che lavorava all’ufficio tecnico dello stabilimento – si usava la pompa ad aria. E quindi, inconsapevolmente, pulivamo le macchine dall’amianto con altro amianto, aumentandone la presenza». Quelli potenzialmente più esposti erano i meccanici che stavano a contatto per diverse ore con le macchine per effettuare la manutenzione. A loro, in tutto una dozzina, i dirigenti dell’azienda ordinavano di bere latte dopo aver finito di lavorare, per eliminare le scorie delle sostanze chimiche, come venivano genericamente chiamate le fibre all’epoca, quando nessuno sapeva di cosa si trattasse veramente. La Marzotto Sud, così anche altri stabilimenti che il gruppo aveva in Italia, ha rappresentato per Salerno allo stesso tempo più cose: il fiore all’occhiello per l’industria salernitana, la realtà lavorativa economicamente stabile che dava da mangiare a centinaia e centinaia di famiglie, ma anche un luogo malsano e molto pericoloso per la salute di chi lo frequentava.

E oggi, a distanza di più trent’anni dalla chiusura, continua a rappresentare un problema irrisolto per Salerno, che alimenta timori di inquinamento e che allo stesso tempo deturpa il disegno della città. Ma tutti fanno finta di non vedere nonostante l’area dove sorge lo stabilimento dismesso sia a ridosso della litoranea di Salerno e di due alberghi a quattro stelle, in quello che si immagina come nuovo polo turistico della città.

Il massiccio scheletro è a ancora in piedi nonostante siano passati più di trent’anni di completo abbandono. Spesso si è parlato di riqualificare e bonificare quell’immensa area divenuta ormai una discarica a cielo aperto, una sorta di bomba ecologica che, dopo aver avvelenato centinaia degli oltre 1200 ex dipendenti, continua a restare nell’indifferenza.

«È da anni – diceva nel 2011 l’ex sindaco di Salerno, Vincenzo De Luca – che ragioniamo con i proprietari senza venirne a capo. Da oggi – prometteva – diamo il via a un’iniziativa incalzante dell’amministrazione comunale e non escludiamo il ricorso all'esproprio».

Sono passati cinque anni da quelle dichiarazioni. E nulla è stato fatto. Problema di soldi, ora come allora. E così, nonostante ci sia stato negli anni più di un progetto per provare a restituire quel pezzo di città ai salernitani, tutto è ancora intatto. Qualche consigliere comunale, in passato, ci ha provato a sollevare la questione presentando delle interrogazioni. Ma non è servito neanche questo. Il “mostro” Marzotto resta com’è, e non si sa per quanto tempo ancora. (m.a.c.)

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