Chiesto il processo per il giudice Fedullo

Il magistrato del Tar accusato di frode giudiziaria per la cremazione del padre: «Eluso il test del dna con la figlia naturale»

Rischia un processo il giudice Ezio Fedullo. E con il magistrato del Tar potrebbero finire davanti al Tribunale penale anche la sorella Ester (vice prefetto), la madre Giuliana de Bellis, e una dipendente del Comune di Pontecagnano, Filomena Vitale. L’ipotesi accusatoria è quella di frode processuale e ha origine da un procedimento per il riconoscimento giudiziale di paternità intentato nei confronti del padre del magistrato, Alessandro Fedullo, anche lui giudice e per anni presidente della sezione salernitana del Tribunale amministrativo. Secondo la Procura i suoi familiari avrebbero cercato di ingannare i giudici minorili, cremando la salma del congiunto prima che fosse eseguito il test del dna che avrebbe confrontato il suo patrimonio genetico con quello di una ragazzina che la Cassazione ha poi riconosciuto come sua figlia. Dopo la denuncia della madre della bambina e un’inchiesta sfociata in due avvisi di conclusione indagine, il sostituto procuratore Maria Chiara Minerva ha deciso di formulare la richiesta di rinvio a giudizio, che sarà vagliata dal gup Elisabetta Boccassini in un’udienza preliminare prevista per settembre.
Tutto è iniziato nel 2011, quando una 42enne decise di rivendicare per la figlia, che da poco aveva compiuto i dieci anni, il cognome di quell’uomo di trent’anni più grande con cui avrebbe avuto una lunga relazione. Lui morì un mese dopo la presentazione dell’istanza e il giudizio continuò nei confronti di moglie e figli, giungendo nel luglio del 2014 a una pronuncia d’appello (ora definitiva) che ha confermato la paternità. Nel processo di primo grado era intanto emersa una condotta che per gli inquirenti avrebbe cercato di ingannare la giustizia. Tutto ruota attorno alla prova genetica; era stata la madre della bambina a chiedere il test del dna, per confrontare l’identificativo dei due figli legittimi con quello della bimba: loro prima si erano mostrati disponibili ma poi si opposero, adducendo il costo umano e psicologico di essere «costretti a confrontare il loro patrimonio genetico con una persona distante anni luce dal loro universo sociale e di idee». La donna chiese quindi che il prelievo fosse eseguito sul cadavere e, il 15 maggio 2013, il Tribunale diede via libera. Quando il perito giunse al cimitero scoprì però che la salma non c’era più e che era stata cremata l’11 aprile, prima che l’esame fosse disposto ma dopo che l’istanza era già stata presentata e resa nota alle parti. Inoltre non erano stati eseguiti i prelievi biologi che la legge impone prima delle cremazioni, proprio per consentire accertamenti richiesti da “esigenze di giustizia”. I giudici minorili ricostruirono che il 29 marzo la vedova aveva chiesto un’estumulazione straordinaria per trasferire le spoglie dalla cittadina di origine al cimitero di Pontecagnano, nella cappella della dipendente comunale Filomena Vitale che avrebbe dichiarato (“falsamente”, accusa la Procura) di essere pronipote del defunto. L’8 aprile la vedova presentò l’istanza di cremazione e due giorni dopo la procedura fu eseguita. Non servì a evitare il riconoscimento di paternità, ma da lì è partita un’inchiesta penale in cui la mamma della ragazzina (assistita dall’avvocato Luigi Palmieri) può ora costituirsi parte civile.
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