«Chiedo rispetto per mia nonna»

Mario Francese: «Faceva il “mestiere”, è vero, ma per necessità. Ed era comunque un essere umano»

NOCERA SUPERIORE. Un omicidio casuale, non innescato dalla volontà, avvenuto per una combinazione o un incidente. Questo il responso giudiziario della Corte d’Appello di Salerno sull’assassinio di Santina Rizzo, in attesa del deposito delle motivazioni. E lei, Santina, che “esercitava il mestiere”, per tutti era diventata solo e soltanto la prostituta, uccisa da un cliente in modo feroce, con due paia di forbici a profanarne il cadavere e una corda in gola.

La sua storia è nel cuore dei suoi familiari. L’obiettivo della loro battaglia. Lo dice il nipote, Mario Francese, a nome della famiglia. Lo racconta e piange. «Voglio dignità e giustizia per mia nonna. È stata trattata come un oggetto, discriminata perché, come si dice, faceva il mestiere. Era una lucciola. E io le volevo bene». Mario parla della vita di sua nonna, uccisa barbaramente la notte del 13 febbraio del 2010, parla della vita di Santina. Che faceva la prostituta in casa. «Ci era arrivata per necessità, da giovanissima. Era una ragazza madre, era sola, ha scelto di farlo vendendo il suo corpo per dare il meglio ai suoi figli. Per farli felici. Aveva degli affetti, e io chiedo dignità per lei».

Il processo di primo grado aveva assolto Mario Della Monica, falegname di Cava de’ Tirreni. Ora la Corte d’Appello di Salerno ha emesso la condanna a quattro anni per omicidio colposo, slegando il decesso dalla volontà, con un ipotetico gioco erotico finito male. «Non ho parole - dice Mario fissando il vuoto - è un omicidio grave, efferato, non parliamo di un pugno, di una coltellata. L’assassino ha giocato col corpo di mia nonna, le ha infilato due paia di forbici. Quell’uomo mi ha tolto tutto, mia nonna era tutto».

Quella notte il fratello di Mario era con un amico fuori casa di Santina, a Nocera Superiore. La nonna non rispondeva al telefono. Davanti casa era ferma un’auto che poi andò via. Un cliente. «Il cancello di ferro esterno alla casa era aperto -racconta ancora Mario - lei per circa quaranta minuti non rispose, mio fratello che era in auto fuori casa, scese dall’abitacolo della vettura e decise di sfondare la porta. La nonna era a terra, distesa con un cuscino in faccia. Glielo tolsero e mi chiamarono. Arrivai e vidi la faccia viola, con un bubbone in testa. Credevo fosse stata tramortita. Aveva le forbici infilate in bocca. Toccai il collo e vidi una corda. L’avevano uccisa».

L’inchiesta ebbe inizio dall’ultimo cliente, Mario Della Monica, individuato dai tabulati telefonici e arrestato giorni dopo il delitto. Il processo di primo grado lo assolse, cancellando la richiesta di ergastolo avanzata dal pubblico ministero Giancarlo Russo, titolare dell’accusa nel processo dopo il trasferimento della collega Sabrina Serrelli. «Quando arrivò l’assoluzione i parenti di Della Monica applaudirono e festeggiarono davanti a noi. Che avevamo la morte in casa».

Il processo aveva messo insieme la superperizia dell’ex colonnello del Ris dei carabinieri, Luciano Garofano, un esperimento giudiziale svolto sul luogo del delitto prima della sentenza, e i reperti trovati sul luogo del delitto e in falegnameria, tra dvd hard, caramelle, la rilevata assenza di impronte e di tracce biologiche dell'indagato sulla scena del delitto.

Al racconto partecipa anche la madre di Mario, figlia di Santina. La sua presenza è quasi sempre muta, commossa. Sconvolta. Il giorno del giudizio di secondo grado, dopo la sentenza che riconosceva un colpevole per l’accusa di omicidio colposo, è tornata a casa in ambulanza. «Mia nonna mi ha cresciuto – continua Mario, commosso - era più di una madre. Ho aperto una pagina facebook, si chiama “giustizia per Santina Rizzo”, ci sono foto, degli articoli. Ci siamo noi, c’è la sua famiglia. Faceva il mestiere, sì, ma era un essere umano».

La vicenda giudiziaria non è ancora chiusa, in attesa della pronuncia definitiva della Cassazione. «L’omicidio colposo non ha senso. Io ho fiducia nella giustizia, deve fare il suo corso. Ma non posso incrociare l’assassino di mia nonna come un uomo libero».

Alfonso T. Guerritore

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