Cetara, le gabbie per i tonni installate e mai utilizzate

La loro realizzazione fu finanziata dalla Ue, poi è arrivato il fermo biologico In parte sono state dismesse e metterle in funzione oggi sarebbe antieconomico

Finanziate con fondi europei ma mai utilizzate. È la storia, tutta italiana, delle gabbie che sarebbero dovute servire per la stabulazione dei tonni rossi, pescati nel Mediterraneo, tenuti in cattività e “ingrassati” fino alla consegna ai compratori giapponesi, che erano state posizionate a due chilometri al largo di Cetara. Un progetto sul quale, come sempre accade in questi casi, si sono scritti fiumi di parole, sono insorte le associazioni ambientaliste, c’è persino stata una guerra di “confine” tra Cetara e Maiori, combattuta a suon di carte bollate, di ricorsi e controricorsi, per il timore che l’allevamento avesse potuto inquinare il mare, ma che poi, alla resa dei conti, si è risolto con la classica bolla di sapone. Perché alla fine della storia, anche per via delle nuove normative comunitarie che hanno limitato le “quote” dei tonni da pescare per le flotte italiane, l’impianto non è mai entrato in funzione. E, così, da diversi anni, le gabbie continuano a stare in quel pezzo di mare senza essere adoperate.

Nel corso del tempo la maggior parte delle zone delimitare è stata dismessa e le sbarre eliminate, ma ancora oggi qualche gabbia continua ad esser ancorata, probabilmente per via di un procedimento giudiziario in corso che portò, nel maggio del 2012, al sequestro di un impianto che, in base a quanto sostenuto dagli inquirenti, avrebbe occupato un’area demaniale marittima di 24mila metri quadrati, nonostante fosse decaduto il necessario titolo concessorio.

Dell’intera vicenda, comunque, a Cetara nessuno parla con piacere. Eppure per riuscire ad ottenere i permessi e per “sconfiggere” gli ambientalisti, che si opposero, con tutti i mezzi, al progetto, i promotori hanno dovuto sudare le proverbiali sette camice, per poi, non si capisce il perché, dimenticarsi improvvisamente delle gabbie, una volta installate. A cercare di dare una spiegazione logica prova il sindaco, Secondo Squizzato. «Le gabbie erano state favorite dall’Unione europea per incentivare, con apposite misure di sostegno, la pesca – spiega – ma poi, una volta che il progetto è andato in porto, sono state adottate delle normative molto più restrittive, tant’è che è stato pure imposto il fermo biologico». Proprio questa circostanza avrebbe reso inutili tutti gli investimenti.

Resta, però, qualche dubbio sul perché si sia deciso di continuare nel portare avanti l’iniziativa nonostante le voci provenienti da Bruxelles non fossero affatto favorevoli, e già da tempo fosse trapelata la notizia che le quote del pescato sarebbero state ridotte. Anche perché il Por al quale si fa riferimento risale al 2001 e, dunque, ci sarebbe stato tutto il tempo per valutare i pro e i contro, tenendo pure conto che le procedura è stata completa tra il 2006 e il 2007.

Gli interrogativi, dunque, non sono pochi e l’unico dato certo è quello che portare i tonni nella gabbie superstiti di Cetara oggi risulterebbe antieconomico. «I pescherecci cetaresi – conclude Squizzato – pescano tra la Sicilia e Malta. La stagione si concentra in venti giorni e, perciò vendono il pescato ai gestori della gabbie dell’arcipelago maltese, tenendo anche conto che i prezzi sono sempre al rialzo».

Gaetano de Stefano

©RIPRODUZIONE RISERVATA