L'INTERVISTA

Centore: «Suoli Asi: è l’antimafia del giorno dopo»

Il pm che ottenne le confische sui beni requisiti: «Dov’era il Consorzio quando il vecchio proprietario non li industrializzava?»

BATTIPAGLIA - «Questi beni un po’ li sento come fossero dei figli miei». Parola di Antonio Centore , che sì, oggi riveste l’incarico di procuratore capo a Nocera Inferiore, ma in passato, da pm della Direzione distrettuale Antimafia di Salerno, fu il “papà” d’una delle più intense stagioni di confische in provincia. E i frutti ora si vedono soprattutto a Battipaglia, la città salernitana che vanta il più corposo patrimonio immobiliare – ben 52 i beni destinati – sottratto alla criminalità organizzata. Sigilli legati soprattutto al processo California: il pubblico ministero era Centore. E fu proprio il magistrato salernitano a ottenere le confische di quegli appezzamenti (molti appartenevano all’imprenditore Antonio Campione ) disseminati in ogni angolo della zona industriale, ora finiti nel mirino del Consorzio Asi, che ha deciso di requisirli al Comune – al quale li ha destinati l’Anbsc, l’Agenzia nazionale dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità – per cederli a imprenditori vogliosi d’industrializzarli. «Mi ricorda – dice Centore – quella che chiamo l’antimafia del giorno dopo...».

Dottore, cosa intende?

Al Consorzio Asi oggi s’accorgono che quei suoli non sono industrializzati. Bene, ma dov’erano quando Campione li ha comprati, quando non li ha utilizzati e quando sono stati confiscati? Solo quando ormai sono passati anni e i fondi sono stati già destinati e riutilizzati per finalità sociali ci si rende conto che sono terreni da usare per le fabbriche: è l’antimafia del giorno dopo. E non accade solo a Battipaglia.

Dove, per esempio?

A Baronissi abbiamo confiscato dei cantieri e ci siamo ritrovati invasi da uomini dell’Ispettorato del lavoro. Prima dov’erano?

Dall’Asi ribadiscono che i suoli hanno destinazione industriale: la confisca non cambia le carte in tavola?

Se un bene edificato senza licenza viene confiscato, l’Agenzia può decidere se abbatterlo o addirittura, attraverso una procedura informale assai rapida, richiedere la sanatoria d’abusi anche assai gravi. Certo, non s’applica in casi critici quali potrebbero essere, per esempio, una costruzione illecita nel Parco archeologico di Paestum, ma la confisca di prevenzione spazza via qualsiasi abuso. E la ratio è chiara: se in passato un Comune è stato disattento rispetto a gravi abusi edilizi, non si può ridestare quando il bene passa allo Stato. È l’antimafia del giorno dopo e, lo ripeto, è inammissibile.

In questo caso non c’è neppure un vero e proprio abuso...

No. Mi pare di capire che qui ci sia la violazione d’una norma contrattuale con la cancellazione della cessione bonaria dei suoli da parte dell’Asi che era finalizzata ad edificare fabbriche che non sono state realizzate. Credo finirà a carte bollate, con l’Agenzia nazionale ed il Comune da una parte e l’Asi dall’altra.

Qual è il parere del pm che

ha richiesto quelle confische?

È anche un discorso d’immagine. È difficile accettare l’idea che ci si possa svegliare a distanza di tempo e dire: «Quel bene non potevate confiscarlo». D’altronde la violazione della destinazione d’uso c’era già al tempo del vecchio proprietario, e l’Asi avrebbe potuto intervenire facendo presente che la confisca non sarebbe avvenuta ai danni di Campione ma del Consorzio.

In un quadro simile, in linea generale, sarebbe addirittura possibile che un giorno i destinatari delle confische si impadroniscano di nuovo dei beni?

Astrattamente sì. Ci si potrebbe perfino avvalere d’un prestanome, per poi accorgersi, magari dopo una decade, che un bene è tornato a chi lo deteneva in passato. Ad ogni modo c’è da sempre un vuoto normativo dalla fase successiva al sequestro.

Cioè?

La Procura chiede gli elementi per la confisca, poi la domanda alla Sezione misure di prevenzione. Diversamente da quanto accade con i processi ordinari, però, il pm si spoglia completamente del fascicolo. Può seguire l’iter solo attraverso le udienze in tribunale: s’incorre nella stessa patologia che già a tratti segna il procedimento penale, quando il pm che segue le indagini non è lo stesso del processo. Una spersonalizzazione che per me è nociva. Allora la palla prima passava al custode dei beni e il tribunale continuava a seguire fasi che spesso riguardano pure la gestione di aziende. Venivano alla luce forti carenze: ricordiamo tutti i beni abbandonati a seguito di confische definitive.

Di qui la creazione dell’Agenzia nazionale, no?

Il vulnus resta, però, perché è stata sì creata l’Anbsc, ma non è stata fornita dei supporti tecnici necessari e dei terminali locali operativi, che rimangono solo il custode e l’amministratore dei beni. Con presenze e mezzi sarebbe stata una sorta d’autority dei beni confiscati. E invece certi accadimenti, come a Battipaglia, sfuggono del tutto alla conoscenza dell’Agenzia. E non è l’unica falla nel sistema.

Quali sono le altre derive?

Per esempio l’Agenzia che viene sanzionata dal Garante della privacy per aver indicato i nomi dei destinatari delle confische sul sito istituzionale: i camorristi che hanno diritto all’oblio. Fosse per me, su ogni immobile dovrebbe esserci una targa commemorativa con il nome scolpito sopra. A imperitura memoria.