Caserta

Cemento, affari e sangue. In cella quattro persone 

I “pentiti” svelano i retroscena dell’assassinio di un imprenditore nel Casertano. L’agguato voluto dai vertici dei Casalesi: l’uomo non voleva pagare il “pizzo”

CASERTA. Si ribellò ai “padroni” del cemento, fidando probabilmente sull’aiuto degli esponenti di un altro clan, egemone in zona. A 25 anni da quel delitto e grazie al racconto dei collaboratori di giustizia si è capito chi furono i mandanti e gli autori. Ieri mattina, nelle province di Caserta, Como, Sassari e l’Aquila, i carabinieri di Caserta hanno eseguito una misura di custodia cautelare in carcere, emessa dal gip di Napoli, nei confronti di 4 indagati ritenuti responsabili di concorso in omicidio e detenzione e porto illegale di armi, con l’aggravante del metodo mafioso. L’indagine ha consentito, tra l’altro, di individuare nei destinatari del provvedimento, tutti affiliati ai Casalesi, gli autori della omicidio di un imprenditore edile, commesso il 21 ottobre 1992 a Caserta.
Tra i destinatari della misura cautelare, due boss già detenuti, Francesco Bidognetti, noto come “Cicciotto ’e mezzanotte”, al vertice del gruppo omonimo, e Francesco Schiavone detto “Cicciariello”, cugino e omonimo del capo dei Casalesi, considerati i mandanti dell’omicidio di Vincenzo Feola, titolare di una ditta, la Appia Calcestruzzi, con sede in viale Carlo III a Caserta, che si occupava di produzione e vendita di calcestruzzo.
Feola fu ucciso il 21 ottobre 1992 dentro la sua azienda perchè non voleva restare nel consorzio Cedic, creato da Antonio Bardellino, il primo boss dei Casalesi, per gestire in regime di monopolio la fornitura del calcestruzzo nel territorio. Nel consorzio erano confluiti tutti i produttori di calcestruzzo casertani, i titolari di cave e quelli di impianti di produzione. Feola in un primo momento aveva aderito al raggruppamento di imprese, poi aveva deciso di uscire perchè non era disposto a pagare al clan 2mila lire per ogni metro cubo di calcestruzzo venduto, il prezzo imposto alle ditte per lavorare. All’epoca, l’imprenditore era impegnato nei lavori di costruzione del centro orafo campano “Il Tarì”, nell’area industriale di Marcianise. Per gli investigatori, la sua decisione poteva anche essere legata al fatto che credeva di poter contare sull’appoggio del clan Belforte, egemone nell’area.
A riaprire l’indagine sono state le dichiarazioni di diversi “pentiti” un tempo elementi di spicco dei Casalesi, come Nicola Panaro, capozona della cosca, ma anche il boss del centro storico di Napoli Giuseppe Misso. Misura cautelare anche per i due esecutori materiali dell’omicidio, Andrea Cusano ed Ettore De Angelis.