LA MOBILITAZIONE

Cellulare sequestrato a una giornalista, lunedì davanti al Tribunale il sit-in di solidarietà

Non è una semplice questione aperta fra Procura della Repubblica e una giornalista che scrive per “la Città” o fra Procura della Repubblica e “la Città”. Questa è una vicenda che riguarda prima di tutto il diritto-dovere di informare e dunque chiunque faccia questo mestiere, qui e lontano da qui. E riguarda soprattutto il diritto di tutti quanti di potersi dichiarare cittadini a tutti gli effetti e non sudditi di uno stato di polizia.

Il segretario regionale del Sindacato dei giornalisti della Campania, Claudio Silvestri, e il consigliere nazionale della Fnsi, Gerardo Ausiello, hanno incontrato ieri mattina il procuratore di Salerno, Corrado Lembo. Il Sindacato, nel corso del lungo colloquio, ha espresso grande sconcerto e condannato con fermezza la scelta della procura di sequestrare il cellulare della collega de “la Città” di Salerno Rosaria Federico, autrice di un articolo sull’omicidio del sindaco di Pollica Angelo Vassallo, sul quale dopo sei anni di indagini non si è fatta ancora luce. Lembo ha difeso l'iniziativa della Procura, assumendosene in pieno la responsabilità e ritenendo il provvedimento proporzionato alla delicatezza e all’importanza della vicenda trattata nell’articolo. Il Sindacato, non condividendo le ragioni esposte, ha annunciato che lunedì 3 ottobre a partire dalle 11, proprio mentre sarà effettuata la perizia sul telefonino della giornalista, si terrà un presidio di protesta davanti al Palazzo di giustizia in corso Vittorio Emanuele, in difesa della libertà di stampa, al quale sono invitati a partecipare tutti i colleghi. A Salerno sarà presente anche il presidente della Fnsi, Giuseppe Giulietti, che incontrerà la giornalista Rosaria Federico e i colleghi della redazione de “la Città”.

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Quella di cui stiamo per parlare non è una semplice questione aperta fra Procura della Repubblica e una giornalista che scrive per “la Città” o fra Procura della Repubblica e “la Città”. Questa è una vicenda che riguarda prima di tutto il diritto-dovere di informare e dunque chiunque faccia questo mestiere, qui e lontano da qui. E riguarda soprattutto il diritto di tutti quanti di potersi dichiarare cittadini a tutti gli effetti e non sudditi di uno stato di polizia.

leggi anche: La Procura di Salerno sequestra il telefono di una giornalista Aveva invocato il segreto professionale, imposto dalla legge, per non rivelare la fonte di un articolo. La protesta dell'Ordine

Riassumiamo per chi si fosse perso le precedenti puntate. Silvio Marco Guarriello, sostituto Procuratore della Repubblica di Salerno, ha convocato la giornalista Rosaria Federico (era venerdì scorso, il 23 settembre 2016) per chiedere di rivelare le fonti dalle quali aveva attinto per realizzare un articolo pubblicato mercoledì 29 giugno 2016, quasi tre mesi prima di quella convocazione. Il motivo è riassumibile nel fatto che, secondo la tesi del sostituto (ieri mattina fatte proprie anche dal suo capo, il procuratore Corrado Lembo), la pubblicazione di quel servizio avrebbe messo a rischio la posizione di un collaboratore di giustizia che avrebbe fatto delle rivelazioni (ma questa motivazione si è scoperta dopo).

La collega ha doverosamente opposto il segreto professionale al quale è obbligata a tener fede dalle regole deontologiche che poggiano su leggi dello Stato italiano e Convenzioni europee. Non poteva e non doveva fare diversamente anche perché è in gioco la sua credibilità con tutte le fonti confidenziali.

Di fronte a tutto questo, il sostituto procuratore, prima di lasciar andare la collega, ha ostentato la volontà di trovare quelle fonti «con ogni mezzo». E cosa fosse quel «con ogni mezzo» si è capito pochi minuti dopo, quando a poca distanza dagli uffici giudiziari la collega è stata fermata – dopo essere stata pedinata pur non essendo indagata – da un agente di polizia che le ha notificato un ordine di esibizione del cellulare (di fatto un sequestro) firmato dallo stesso magistrato che l’aveva sentita poco prima.

Un ordine che per la collega si è concretizzato con un obbligo a recarsi in questura e a sottostare a un lungo interrogatorio con tanto di denuncia per il diniego di aprire il telefono di fronte agli agenti.

L’articolo al centro del caso aveva come titolo (“Spunta una nuova pista per l’omicidio Vassallo”) e riportava alla luce una dolorosa vicenda, l’omicidio del sindaco pescatore di Pollica. Vicenda che, dopo più di sei anni, è tutt’ora avvolta nel buio più fitto, con indagini che hanno portato zero risultati e aggiunto mistero al mistero.

Pochi giorni prima del sequestro del cellulare della collega, in occasione del sesto anniversario della morte del sindaco di Pollica questo giornale aveva titolato in prima pagina «Vassallo, uccisa anche la giustizia», parlando di indagini in un vicolo cieco. Indagini che sono state condotte dalla stessa Procura che indaga sulle fonti della collega.

Le domande da fare sono tante, anche sulle indagini del caso Vassallo. Fermiamoci alla vicenda del cellulare sequestrato, del pedinamento e di tutto ciò che ne consegue.

Prima questione: se davvero esiste una situazione di pericolo per il collaboratore di giustizia, perché aspettare tre mesi? Se davvero è così, l’intervento doveva essere tempestivo, il giorno stesso della pubblicazione.

Inoltre, la collega che ha scritto quel servizio non è indagata ma solo “informata sui fatti”. Eppure, già a giugno (è agli atti e lo abbiamo appreso solo in questi giorni), altri tre pm della stessa Procura segnalavano la violazione del segreto istruttorio. Perché la collega non è stata iscritta subito nel registro degli indagati, potendo così avvalersi dell’assistenza di un legale in caso di interrogatorio in un procedimento connesso?

Da semplice testimone, gli inquirenti invece hanno avuto campo libero, senza garanzie per la collega, ad esempio anche sull’integrità del telefono sotto sequestro.

Infine, ed è questo l’aspetto più inquietante, una sentenza della VI sezione penale della Cassazione (la numero 85 del 21 gennaio 2004, depositata l’11 maggio) ha stabilito che il segreto professionale sulle fonti, sancito dall’articolo 200 comma 3 del Codice di procedura penale, si estende “a tutte le indicazioni che possono condurre all’identificazione di coloro che hanno fornito fiduciariamente le notizie”. E inoltre riguarda “anche l’indicazione relativa alle utenze telefoniche di cui il giornalista disponeva nel periodo in cui ha ricevuto le notizie fiduciarie perché la stessa è funzionale rispetto alla identificazione di coloro che tali notizie hanno fornito e la relative richiesta è quindi in contrasto con il divieto posto dall’articolo 200 del Codice di procedura penale”. Dunque il segreto tutela, “copre”, ogni informazione che possa consentire di identificare la fonte di una notizia.

E allora delle due l’una. O alla Procura della Repubblica di Salerno non conoscono questa sentenza della Suprema corte oppure hanno deciso di superarla. E fra le due non si sa quale sia la cosa più preoccupante. (s.t.)