Celle aperte per i detenuti comuni

Il cappellano don Rosario: «Tanti i progetti realizzati, altri sono in cantiere»

SALERNO. «Il carcere è un luogo di sofferenza. A Salerno, però, da un po’ di anni si sta cercando di renderlo, in tutti i modi, sempre più umano». Don Rosario Petrone, cappellano della Casa circondariale cittadina, vive quotidianamente la realtà del penitenziario. A lui si rivolgono i detenuti quando hanno qualche problema e, dunque, è la persona più adatta per valutare la reale condizione dei carcerati. «Di sicuro – evidenzia – non ci sono trattamenti inumani e nelle celle viene rispettato lo standard dei 3 metri quadri per ogni detenuto. E lo dice chi vive dal di dentro i problemi che si presentano ogni giorno». Don Rosario, anzi, tiene a precisare come la situazione sia nettamente migliorata rispetto ad un recente passato. «Sono cappellano del carcere da 6 anni – sottolinea – e posso assicurare come siano stati apportati tanti cambiamenti favorevoli. E si avverte un clima diverso. Prima i detenuti erano sempre reclusi nelle celle e potevano uscire solo per l’ora d’aria. Adesso, invece, tutto è cambiato: le celle sono aperte e vengono chiuse solo la sera. Questo fa sì che ci sia più socializzazione». «Ci sono poi – aggiunge il cappellano – altri segnali che fanno capire come si stia lavorando seriamente verso una maggiore umanizzazione. E come finalmente la reclusione possa diventare una rieducazione e non solo più una pena da scontare». Il merito di questo cambiamento don Rosario lo ascrive soprattutto al direttore Stefano Martone. «Da quando dirige la casa circondariale salernitana – rimarca don Rosario – sono stati portati a termine tanti progetti. E altri sono in cantiere. Qualche giorno fa, per citare solo l’ultima iniziativa, abbiamo inaugurato un centro d’accoglienza. E tutto questo è possibile grazie alla collaborazione di tutti, a cominciare dal nuovo comandante». (g.d.s.)

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