L'inchiesta

Caso Severino, un sms inguaiò Mastursi 

Nella sentenza i dubbi su De Luca: «Forse era stato informato, ma non c’è riscontro». I dissidi con Coscioni: «Incompetente»

SALERNO. «Possiamo procedere, informa tu gli amici». È in particolare questo sms, che Nello Mastursi invia a Giuseppe Vetrano nella serata del 16 luglio del 2015, a determinare la condanna dell’ex capo della segreteria politica di Vincenzo De Luca per concorso in induzione indebita. L’inchiesta è quella sul presunto scambio illecito tra le decisioni del tribunale civile di Napoli, che sospesero l’applicazione della legge Severino consentendo al presidente della Regione di restare in carica, e la promessa di una nomina dirigenziale nella sanità per Guglielmo Manna, marito della giudice Anna Scognamiglio che di quei provvedimenti fu relatrice. Mastursi è stato l’unico degli imputati a scegliere il rito abbreviato, ma nella sentenza che lo condanna a 1 anno e mezzo (con i benefici di sospensione e non menzione) vi è pure una ricostruzione precisa dei ruoli degli altri coinvolti (soprattutto la giudice) rinviati a giudizio e tuttora sotto processo.
Nelle motivazioni depositate pochi giorni fa il gup Vilma Passamonti individua nel 16 luglio i momenti salienti della “trattativa”. È il giorno prima dell’udienza in cui deve decidersi sull’istanza cautelare avanzata da De Luca: Vetrano, che aveva coordinato per il neo presidente la campagna elettorale nell’Avellinese, incontra a pranzo Mastursi e gli parla di un amico “in cerca di un ruolo nell’amministrazione regionale”; il salernitano nega che in quell’occasione gli sia stato fatto il nome di Manna, tantomeno si sarebbe parlato del processo in corso, ma il giudice non gli crede. Nelle motivazioni spiega che l’esatto contrario «si desume dalla circostanza che, immediatamente prima dell’incontro, il Vetrano chiede al Brancaccio (Gianfranco Brancaccio, amico di Manna e anche lui imputato ndr) conferma del nome esatto di Guglielmo Manna e quello della moglie Anna Scognamiglio». E poi c’è quel messaggio («Possiamo procedere») che Mastursi spiega con il via libera a un appuntamento per il 3 agosto ma per il gup ha invece il «significato univoco ed incontrovertibile» di una adesione al patto illecito, tanto più che quando Brancaccio ne dà notizia a Manna la reazione di quest’ultimo è entusiasta. Sono le 21.51 quando l’sms parte dall’utenza del braccio destro di De Luca; la stessa sentenza ipotizza che nelle ore precedenti quest’ultimo ne sia stato informato, ma precisa che di ciò non si è avuto riscontro. La posizione del governatore, inizialmente indagato, è stata infatti archiviata su richiesta della Procura. E per dare spiegazione a un interessamento autonomo di Mastursi si è fatto ricorso al carattere fiduciario della sua nomina in Regione: «Si è convinto a scendere a patti – si legge nella sentenza – pur di assicurarsi il risultato positivo delle cause intentate dal governatore e di permanere così nella prestigiosa posizione di potere da questi assegnategli».
Una posizione che De Luca gli chiese di lasciare appena si diffuse la notizia dell’inchiesta e nella quale aveva goduto, fino ad allora, di un margine di discrezionalità. Che potesse influire sulle nomine nella sanità il gup lo deduce anche da alcune conversazioni intercettate con il consigliere regionale Enrico Coscioni, che sebbene delegato al settore sarebbe stato più volte scavalcato. È lo stesso cardiochirurgo a lamentarsi al telefono perché Mastursi avrebbe chiamato un tale Nino dicendo «Enrico fa la sanità ma sul territorio risponde a me». E pare che tra i due vi fossero spesso differenze di vedute anche significative, al punto che in una conversazione con De Luca il consigliere regionale viene definito dal capo della segreteria politica come «un incompetente totale».
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