L'ACCUSA

Caso Severino, la Procura: "20 mesi per Mastursi"

I pm: «Si accordò sulle sentenze per mantenere il suo posto». La difesa: «Reato impossibile. Non vi fu alcuna promessa»

ROMA. Per la Procura di Roma Nello Mastursi fece tutto da solo e nel suo interesse personale. Nel presunto accordo illecito sulle sentenze che sospesero l’applicazione a Vincenzo De Luca della legge Severino, il capo della sua segreteria politica avrebbe agito senza interpellarlo, al solo scopo di salvare, con la poltrona del “governatore”, anche il suo incarico a Napoli.

È in base a qusto costrutto che i pubblici ministeri hanno chiesto ieri la condanna di Mastursi alla pena di 1 anno e 8 mesi, nel corso di un’udienza preliminare in cui l’ex presidente di Salerno Energia Vendite ha chiesto di essere giudicato con il rito abbreviato. Per il difensore Felice Lentini vi sono elementi per giungere già allo stato degli atti a una pronuncia di assoluzione, stante la richiesta di archiviazione che la stessa Procura ha formulato nei confronti del presidente della Regione. Se è vero che De Luca non sapeva nulla – è la tesi difensiva – Mastursi non poteva promettere, come contropartita di una sentenza favorevole, nomine che non rientravano nelle sue competenze.

Per gli inquirenti, invece, la promessa vi fu, ed era quella di una nomina dirigenziale, nella sanità campana, per il marito della giudice Anna Scognamiglio, relatrice delle sentenze che risultarono favorevoli al “governatore”. Era l’estate del 2015, e il presidente neoeletto rischiava la sospensione dall’incarico per la condanna in primo grado sulla nomina del project manager per il termovalorizzatore, condanna poi ribaltata in appello da un’assoluzione divenuta definitiva in Cassazione. In quel contesto si sarebbe inserito secondo le indagini Guglielmo Manna, consorte della Scognamiglio, mettendo sul piatto un suo interessamento per scambiarlo con un incarico agognato da tempo.

Per questo avrebbe chiesto e ottenuto l’incontro in Regione, facendo leva sulla mediazione dell’avvocato napoletano Gianfranco Brancaccio, dell’infermiere Giorgio Poziello dell’ospedale Santobono, e dell’avellinese Giuseppe Vetrano, candidato alla regionali e coordinatore nella provincia di Avellino delle liste a sostegno di De Luca. Ora sono tutti imputati, ma se Mastursi ha scelto l’abbreviato per gli altri si va avanti con il rito ordinario e la Procura ha ribadito ieri la richiesta di rinvio a giudizio, su cui il giudice deciderà l’1 febbraio.

Per tutti l’accusa è di induzione indebita, la formula che dal 2012 sostituisce la concussione quando si ritiene che le pressioni del pubblico ufficiale (in questo caso la giudice Scognamiglio) non siano state tali da non lasciare margini di resistenza al concusso, che dal rifiuto non avrebbe tratto un danno ma solo la rinuncia a un indebito vantaggio. Un’imputazione che ieri Vetrano ha provato a smontare nel corso di dichiarazioni che hanno ricalcato quelle rese nei giorni scorsi da Brancaccio. Nell’incontro in Regione – è la loro versione – non vi fu alcuno scambio di promesse. Manna avrebbe chiesto il loro intervento solo per poter conoscere lo staff dei nuovi vertici regionali, non per caldeggiare “promozioni” ma nel timore di poter perdere i ruoli già ricoperti. «Ci siamo incontrati, ma Mastursi non ci ha promesso nulla» hanno detto al giudice. Che sull’abbreviato deciderà il 23 febbraio.

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