Caso Seapark, il pm smonta le accuse

«Non ci fu associazione a delinquere, impossibile un disegno criminoso tra chi non si conosceva». Le richieste il 19 aprile

Poco più di mezz’ora è bastata al pubblico ministero Vincenzo Montemurro per minare alle basi un’inchiesta giudiziaria che dal 2009 impegna la seconda sezione del Tribunale sulla variante urbanistica per il Seapark e la cassintegrazione agli operai ex Ideal Standard. La requisitoria si concluderà il 19 aprile, ma l’introduzione di ieri lascia ipotizzare una richiesta di assoluzione da tutte le accuse, che vanno dalla truffa, alla corruzione e alla concussione. Intanto il pm ha già smontato il capo d’imputazione dell’associazione a delinquere («madre di tutto il processo»), bollando come “fantomatica” l’ipotesi di un accordo preventivo tra persone che «neanche si conoscevano» e bacchettando una conduzione delle indagini (quella del sostituto procuratore Gabriella Nuzzi, poi trasferita) che con l’esecuzione di intercettazioni illegittime ha forse “bruciato” l’unica fonte di prova per l’assunto investigativo.

Sul banco degli imputati ci sono quattro società e 39 persone, gli ex sindaci Vincenzo De Luca e Mario De Biase, imprenditori, dirigenti comunali ed ex assessori. «È un procedimento che per tanti motivi rappresenta la storia della città» ammette il pubblico ministero. La storia di una deindustrializzazione e di una crisi occupazionale, di cui inizia a sfilacciarsi il presunto intreccio con la giustizia penale. Per la pubblica accusa non trova riscontri ed è persino poco credibile una ricostruzione secondo cui attori distanti tra loro si sarebbero accordati in un disegno criminoso che aveva il fine di far chiudere l’Ideal Standard per spianare la strada alla speculazione. «Da atti univoci del dibattimento – ha spiegato il pm – risulta che quella chiusura non era preventivata né preventivabile, non stiamo neanche a discutere se fosse favoribile». D’altronde gli stessi consulenti della Procura non hanno mai parlato di reati: «Hanno espresso disapprovazione per alcune scelte amministrative, ma questa materia non compete a noi. A noi le conclusioni dei consulenti non consentono di ritenere quegli atti un malaffare». Tanto più, ha evidenziato, che nel corso del dibattimento sono emersi elementi che stridono con l’idea di un accordo politico-finanziario d’alto rango («si pensi all’imprenditore Benetti che mangia pane e mortadella su una sedia del Comune») e che in nessun momento si parla di atti falsi ma emerge anzi una sovrabbondanza di «negoziazione e partecipazione».

Eppure non si esclude che un illecito possa esservi stato, rivelato in quelle intercettazioni del deputato De Luca che sono andate distrutte perché avviate senza l’autorizzazione parlamentare: «Se la chiave è lì, aver fatto intercettazioni non conformi alla legge si denota di evidente gravità». Quelle conversazioni non sono mai potute entrare nel fascicolo del processo, come non fossero mai esistite. «Una lacuna non secondaria – ha chiosato Montemurro – Le intercettazioni o non si fanno o si fanno secondo legge». E non è l’unica stilettata a chi ha condotto le indagini: «Ci siamo trovati di fronte ad affermazioni di forte illogicità, che forse una più compiuta istruttoria in fase preliminare avrebbe consentito di meglio inquadrare».

La conclusione sembra demolire l’intero impianto accusatorio: «Sbandiamo – non ha esitato a dire il pm – perché non ci ritroviamo nelle categorie tecnico giuridiche dell’associazione a delinquere, della corruzione, della concussione, della truffa. Non ci ritroviamo soprattutto con l’impostazione di un processo che parte da un accordo di tutti, quando se fosse partito da un accordo di pochi avrebbe potuto raggiungere probabilmente risultati più concreti».

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