Caso Scarano, i D’Amico fanno scena muta in aula

Ieri a Roma l’interrogatorio dei due armatori salernitani coinvolti nella vicenda Il 29 maggio toccherà all’imprenditore Massimiliano Marcianò rispondere al pm

Si sono avvalsi della facoltà di non rispondere, ma solo a quelle domande che avrebbero potuto pregiudicare la loro posizione nell’ambito del processo che si sta svolgendo a Roma e che ha come principale imputato monsignor Nunzio Scarano, accusato di aver cercato di far rientrare in Italia in maniera illecita 20milioni di euro dalla Svizzera. Soldi che appartenevano, appunto, a loro – così come hanno loro stessi ammesso – agli armatori salernitani Cesare e Paolo D’Amico che ieri sono stati ascoltati dai giudici capitolini presso il Tribunale di Roma.

L’udienza doveva svolgersi lo scorso 1 aprile ma è stata rinviata a ieri per consentire di ultimare la trascrizione delle intercettazioni telefoniche tra il prelato e i gli stessi D’Amico.

In un’interrogatorio durato poco più di mezz’ora, i due cugini salernitani sono più volte ricorsi alla possibilità di fare scena muta davanti alle domande del pm se non quando queste non presupponevano una risposta ovvia e già ampiamente risaputa.

Svolte inaspettate potrebbe darle, invece, l’udienza prevista il prossimo 29 maggio quando in aula saranno ascoltati altri testi chiamati dall’accusa, tra le diverse deposizioni che verranno date, molto attesa è quella di Massimiliano Marcianò, ex amico fedele di don Nunzio, le cui dichiarazioni rese al sostituto procuratore Elena Guarino già avevano fatto parecchio scalpore. L’imprenditore aveva infatti raccontato di codici segreti per l’accesso a conti correnti cifrati, frequentazioni altolocate, lingotti d’oro scaricati davanti alla Santa Sede e quadri di Van Gogh che il prelato gli avrebbe detto di possedere nel suo appartamento di via Guarna, a ridosso del Duomo. Di quella casa Marcianò disse anche che don Nunzio gli aveva addirittura dato una copia delle chiavi, di cui però non fece cenno quando a gennaio del 2013 denunciò un furto milionario avvenuto senza effrazione.

Dichiarazioni che in parte sono state smentite dal critico d’arte Claudio Caserta che, a febbraio, ha eseguito una perizia sugli oggetti custoditi nella lussuosa dimora salernitana del prelato valutando l’intero patrimonio di mobili e ceramiche rinvenuto di un valore non superiore ai 15mila euro. Il docente, incaricato di una consulenza di parte dall’avvocato Silverio Sica, ha eseguito la sua perizia su ventotto oggetti sottoposti a sequestro e tuttora al vaglio del nucleo specializzato della Guardia di Finanza.

©RIPRODUZIONE RISERVATA