Caso Pagano, già nel 2012 la prima segnalazione 

La Procura di Salerno informò Napoli dell’esistenza di intercettazioni sospette Si parlava di telefonate quotidiane volte a orientare processi civili e penali

È il novembre del 2012. Dagli uffici della Procura di Salerno parte una nota indirizzata ai colleghi di Napoli, ed è in quel momento (ben cinque anni prima dell’arresto) che sul giudice Mario Pagano si allunga la prima, spessa coltre di sospetto. La segnalazione è stata scritta nelle stanze della Direzione distrettuale antimafia, firmata dal magistrato Luigi D’Alessio che pochi mesi dopo, nel febbraio 2013, lascerà Salerno per andare a guidare la Procura di Locri. S’informa l’autorità giudiziaria di Napoli (competente a indagare sui togati in servizio nel distretto salernitano) che su quel giudice del tribunale civile sono emersi indizi di una fitta attività di condizionamento della giustizia. La nota della Dda parla di contatti telefonici quotidiani, che come obiettivo avrebbero quello di orientare processi civili e penali.
A Pagano gli investigatori dell’Antimafia erano arrivati indagando su Antonio Campione, imprenditore di Battipaglia ritenuto contiguo al vecchio clan Maiale. In quel momento Campione è indagato in un’inchiesta per usura ed estorsione ed è intercettando la sua utenza telefonica che i militari della Guardia di Finanza ascoltano alcune conversazioni con un dipendente del Tribunale, a cui chiede notizie di procedimenti che lo riguardano. Quelle domande saranno poi ritenute irrilevanti (relative a informazioni che l’indagato avrebbe potuto ottenere anche dal suo avvocato) ma è da lì che i finanzieri risalgono a un altro cancelliere, Nicola Montone, e da quest’ultimo al giudice Pagano, di cui è cognato e con il quale viene sorpreso a discutere di processi e assegnazioni con una cadenza pressoché giornaliera.
C’è già, in nuce, il quadro che porterà cinque anni dopo alla restrizione agli arresti domiciliari sia di Pagano che di Montone. L’inchiesta dei magistrati napoletani, però, parte solo nel 2015, quando un’altra informativa arriva dalla Procura di Nocera che sta indagando su un giro di falsi matrimoni. Seguendo le tracce del presunto organizzatore, Giovanni Spinelli, gli inquirenti captano una telefonata tra lui e l’avvocato Roberto Lambiase in cui quest’ultimo tira in ballo Pagano sostenendo di averlo corrotto, regalandogli un orologio Rolex in cambio del rinvio di un’udienza. Dice anche che non si sarebbe trattato di un caso isolato e che anzi quel giudice sarebbe stato solito “vendere” le sentenze e fare pressioni anche su colleghi e magistrati onorari per favorire gli imprenditori amici. A quel punto Nocera iscrive Mario Pagano nel registro degli indagati, per le ipotesi di corruzione in atti giudiziari e per atti contrari ai doveri d’ufficio, e trasmette le carte alla Procura di Napoli, a cui spetta di indagare. È da quel momento che la vicenda assume il rilievo di inchiesta penale, con l’apertura di un fascicolo. Nel giugno del 2015 il giudice delle indagini preliminari autorizza le intercettazioni su Pagano. Secondo alcune indiscrezioni in quei giorni si recupera anche la vecchia segnalazione giunta da Salerno e pare che si cerchino le bobine delle telefonate del 2012. Perché l’indagine esca allo scoperto bisognerà però aspettare il 18 aprile del 2016, quando gli inquirenti napoletani eseguono la perquisizione nell’abitazione di Pagano. Da lì traggono ulteriori elementi indiziari e proseguono, intanto, nelle captazioni telefoniche e ambientali.
Nell’ordinanza cautelare eseguita il mese scorso si ricostruisce un «inquietante sistema di indebito condizionamento» delle decisioni dei giudici e della Commissione tributaria. È il dicembre del 2017.
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